martedì 23 agosto 2011

Quasi il creatore di un mondo


"La prima scena del libro, vista con occhi da bambina, emana l'inquietudine sommessa di certi prologhi domestici alle imprese eroiche e tragiche: «Nostro padre entra fiero e con un guizzo negli occhi, il suo sguardo ci abbraccia, la minestra è servita in tavola. Ha un'aria troppo felice che rischiara il suo volto, la mano destra accarezza quella della mamma per rassicurarla che è stata fatta la scelta giusta. Siamo nel 1954. Mio padre ha deciso di demolire la casa di Camaiore che gli ha regalato il nonno, per costruirne un'altra. La minestra si è fatta fredda e la sua decisione è inderogabile». La figlia che scrive, in Quasi il creatore di un mondo (Giampiero Casagrande editore) è Nicoletta Mondadori, la casa il solido edificio colonico sul la collina che Arnoldo Mondadori aveva regalato al primogenito e che lui rase al suolo per farne la fastosa, modernamente visionaria villa "La medusa" (battezzata come la più prestigiosa collana letteraria Mondadori): piscine, prati, salonie vetri ispiratia Lloyd Wright, pavimenti preziosi con figure dei quadri di Chagall. Per anni vedrà incontri, feste, cene con scrittori famosi, pensatori di tutto il mondo, intellettuali amici. Arnoldo Mondadori non ci vorrà mai mettere piede. Non serve neppure annotare che l'indirizzo è via delle Silerchie (che sarà il nome della prima collana del Saggiatore) per cogliere che non solo di case di mattoni si tratta, ma in trasparente metafora di case editrici e dei loro fondatori, padre e figlio divisi dalle idee e imprigionati insieme, anche nello scontro più duro, dagli affetti.
E si tratta della vita di Alberto Mondadori, il destinatario della Lettera a mio padre (è il sottotitolo) che Nicoletta gli ha inviato trentacinque anni dopo la sua morte, l'uomo alla fine ferito dalle macerie crollate del proprio sogno: «A brandelli ti hanno fatto, aggredendoti alle spalle ti hanno strappato con rinnovata indifferenza tutto quello che avevi conquistato in un febbrile cammino. Hai seguito la liquidazione del Saggiatore come un deportato si avvia verso la fine, ma il calvario non ha avuto un limite, il male inferto ti ha gradualmente spinto verso il disfacimento interiore».
Mai finora la storia, pur nota, che dalla fondazione del Saggiatore nel '58 alla morte a Parigi di Alberto Mondadori, era stata raccontata in termini così crudi. Perché ora sì, Nicoletta Mondadori? «Ho sempre pensato che la versione un po' convenzionale e parziale che si conosce non rendesse piena giustizia né alla figura di mio padre né alla verità dell'impresa culturale che lo consumò. Ma naturalmente la spinta a fare questo piccolo libro è una cosa più complicata, ha a che fare con il mio desiderio di confrontarmi con la memoria di una figura centrale per la mia vita. Mi ci sono voluti anni per decidere di scriverle, queste 200 pagine, per molto tempo il dolore è stato troppo. Ho avuto un po' di aiuto anche dai miei figli».
In che modo? «Il titolo, che riecheggia Quasi una vicenda, con cui mio padre vinse il Viareggio per la poesia, lo ha scelto Giacomo, che fa lo sceneggiatore. Da Sebastiano, che scrive romanzi, è venuto il consiglio dell' incipit. Mi ha detto "non si comincia dalle reverie ma da un fatto preciso". Così mi sono ricordata che mio padre a Camaiore, mentre costruiva la casa, sembrava un bambino con il Lego. E sono tornata al giorno in cui decise quella rottura simbolica col padre».
Cosa aggiunge, questo? «Un aspetto poco detto di Alberto Mondadori, la molteplicità dei suoi interessi che non erano solo editoriali, ma per il cinema, il giornalismo, l'arte, la musica, la poesia. In Mondadori è stato per decenni dirigente editoriale, direttore di giornali, fondatore di collane. Era davvero il potenziale "creatore di un mondo". A Giancarlo Ferretti, che ha curato e introdotto il carteggio Lettere di una vita 1922-1975, lo studio più importante che ha finito per stabilire la vulgata sulla vicenda storica del Saggiatore, l'ho sempre detto: non mi convinceva fino in fondo perché lo rappresenta solo come sconfitto. Vorrei che si riconsiderassero non solo i sogni che non ha potuto realizzare, ma quello che è riuscito a fare. E cosa gli ha impedito il resto».
Lei riporta al centro lo scontro padre figlio. Giovanni Arpino parlò addirittura di "complesso di Don Carlos", la tragedia dell'infante ribelle e rivoluzionario di Filippo II ... «C'erano naturalmente anche aspetti ideologici, politici e culturali di quella contrapposizione tra caratteri che diventerà poi tra modi di concepire il mestiere dell'editore. Per tutta la vita c'è sempre il nonno che blocca le sue iniziative perché troppo di sinistra, elitarie, poco commerciali. Nel frattempo il Saggiatore è l'editore che rinnova più radicalmente il paesaggio culturale italiano, raccogliendo intorno a sé Banfi, Cantoni, Paci, Argan, D'Amico e introducendo da noi Sartre, Lévi-Strauss, Jung, De Martino, Starobinski. Ma io non ho voluto scrivere un libro di storia, neppure di storia dell'editoria».
È infatti soprattutto un mémoir intimo, intervallato da versi che Alberto Mondadori negli anni ha scritto per lei, ma squarciato da scene violente nella ricostruzione dei fatti. Come il fatidico '69 della rottura ... «Non potrei dirlo meglio di come l'ho scritto, meditatamente: "Quando la casa editrice rischiò una collisione con altri interessi, allora, come davanti a un inquietante irresponsabile, si materializzò una giuria compatta, allarmata non per pietà ma per paura di rimetterci denaro e per ipocrita decoro, non per pietà ma per un puro calcolo cinico e ottuso tutti, nemmeno un astenuto"».
Una specie di tribunale aziendale ... «Aggiungerei che in quel momento il Saggiatore era esposto con le banche, ma nessuno aveva chiesto il rientro. C'erano debiti ma anche grandi aperture di credito, tanto che mio padre poté liquidare tutto impegnando le sue azioni nell'azienda di famiglia, case, proprietà, ogni cosa».
Al prezzo dell'estromissione, e del crollo fisico e psichico: «Avevi spinto troppo le tue energie e il filo si stava spezzando».
Verrà poi un ricovero a Parigi dove sarà sottoposto alla pratica urtante alla sensibilità di oggi della "narcoanalisi" ... «Allora avevo sentito la parola, più avanti ho cercato di parlare anche con i medici che l'avevano praticata. Si trattava di colloqui con il paziente in stato ipnotico indotto da farmaci, per eliminare ogni inibizione dei suoi ricordi, e a riferirli. Allora come adesso, l'idea mi dà i brividi per la sua violenza. Tornò diverso, apparentemente ricostruito dentro una fragile corazza ...».
Qualche anno dopo, nel febbraio del 1976, la morte da solo, a Venezia. E appena prima dei funerali a San Michele, con le bandiere rosse al vento come aveva chiesto, nella sua ultima casa lei trova un dettaglio struggente. «Mi aggiravo in quelle stanze cercando la sua presenza. Mi sono imbattuta in uno scaffale carico di libri rilegati in brossura colorata, nuovi e intatti. Ho aperto le pagine ed erano bianche, non una parola o un appunto. Il lettore onnivoro, l'intellettuale autodidatta che aveva cercato nelle parole ogni risposta e pubblicato un catalogo che resta un pietra miliare, era morto circondato di libri vuoti». Oltre a un' immagine potente e disperata sembra un po' una profezia. Da quegli anni tutta l' editoria di cultura attraverserà crisi a ripetizione ... «Aveva il pregio e il difetto di essere in anticipo su tutti»." (da Maurizio Bono, I segreti di Mondadori, "La Repubblica", 23/08/'11)

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