venerdì 28 novembre 2008

Poesie di Ted Hughes


"A Cambridge, dov’era calato dallo Yorkshire rurale e dove si difese, borsista con nessun retroterra, accentuando il proprio accento nordico, vestendosi in modo trasandato e frequentando altri outsider come lui, Ted Hughes capì soltanto che niente di quanto vi si insegnava poteva interessarlo, in quanto poteva soltanto ostacolare la propria prepotente vocazione per la Poesia, vocazione nata dalla scoperta, a quattordici anni, dei ritmi sonori e della retorica trascinante di Kipling, e mai più messa in discussione. Invece di studiare cominciò dunque a coltivare progetti assurdi su come arricchire rapidamente (allevando visoni? riuscendo a acquistare appartamentini da affittare? emigrando in Australia?) allo scopo di dedicarsi unicamente a comporre versi. Mantenersi facendo il poeta sembrava impossibile, tuttavia gli riuscì quasi subito, grazie all’incontro con un’anima gemella: una studentessa americana, non meno di lui ardente del sacro fuoco dell’arte, ma a differenza di lui concreta e organizzata. Con Sylvia Plath fu amore a prima vista, e subito dopo il matrimonio (lui aveva ventisei anni, lei ventiquattro) la sposina cominciò a mandare sistematicamente composizioni del pressoché sconosciuto coniuge a tutte le principali riviste letterarie americane, alcune delle quali le accettarono e remunerarono. Fu sempre Sylvia a battere a macchina le poesie della prima raccolta di Ted (nome sancito da lei) e a inviarle a un premio letterario per esordienti, la cui giuria prestigiosissima - T.S. Eliot, Marianne Moore, Stephen Spender! - le approvò. Da quel momento in poi, pur non navigando nell’oro ed essendo talvolta costretto ad accettare lavori occasionali, ma sempre letterari o paraletterari, Ted Hughes poté dedicarsi a quello che gli stava veramente a cuore, e che si potrebbe sbrigativamente definire l’esplorazione delle infinite possibilità della Parola - come strumento di comprensione del mondo; come contatto con le nostre origini; come recupero della nostra identità; come suono puro, elementare; come formula magica, e via dicendo. Della parola poetica, beninteso: ché con la prosa Hughes ebbe sempre un rapporto meno felice, a parte quella delle lettere private, vedi quelle pubblicate oggi a cura di Christopher Reid, nelle quali egli spiega se stesso e gli altri con molta lucidità. In prosa tese ad essere, talvolta, arzigogolato e stravagante, vedi il suo studio Shakespeare and the Goddess of Complete Being, tanto meditato ma poi vituperato quasi universalmente. Proprio all’aver scritto troppa prosa attribuì (seriamente: era un convinto frequentatore di testi alchemici e di cultura ermetica) l’avere contratto il cancro al colon che lo avrebbe ucciso. Finora noto al pubblico italiano quasi solo per le vicende private (la moglie poetessa Sylvia Plath suicida e diventata un feticcio delle femministe), notorietà che gli valse anche la traduzione del quasi postumo Lettere di compleanno, commoventissima rimeditazione delle circostanze di quel matrimonio, oggi finalmente Ted Hughes si presenta con la quasi totalità della sua opera poetica superbamente curata in un Meridiano dall’apparato esaurientissimo - non solo testo a fronte e versioni accurate e brillanti, ma biografia dettagliata, note assai approfondite, indici bilingui, bibliografia e via dicendo. Ci sono, una dopo l’altra, tutte le principali raccolte che segnarono quarant’anni di attività, a partire dal debutto con la surricordata e premiata Il falco nella pioggia (1957). Parecchi componimenti, soprattutto tra i più antichi, sono ormai nelle antologie che tutti i bambini inglesi studiano a scuola; altri - in particolare quelli del ciclo Corvo e quelli dalla narrazione Gaudete - conservano un loro lato esoterico, che li rese meno fruibili ai tempi loro e nel quale l’esegesi qui offerta aiuta a penetrare. Ted Hughes visse fino a superare scandali e pettegolezzi (sei anni dopo Sylvia Plath, anche una sua seconda compagna si tolse la vita, con la bambina che gli aveva dato) e a diventare anche ufficialmente il più importante poeta inglese vivente. Quando accettò la carica ufficiale di Poet Laureate il suo amico Philip Larkin, cui era stata offerta prima che a lui e che l’aveva rifiutata, commentò: 'Ted mi piace, ma in una società giusta lui non sarebbe il Poeta Laureato, sarebbe lo scemo del villaggio'; ma Ted, cui l’onore piacque assai, andò ingenuamente fiero dell’intimità che ne seguì con la famiglia reale, alla quale indirizzò molte missive flautate. La domanda, naturalmente, è, fu 'anche' un grande poeta? Dovessi rispondere io, direi che sull’ampiezza e sulla profondità del suo pensiero ho delle riserve - le visioni alla base delle due raccolte citate sopra sono a dir poco singolari, e per quanto inquietanti, non necessariamente coinvolgenti - ma lo stesso si potrebbe affermare per Yeats. Sulla sua statura di artefice, però - di poeta nel senso etimologico, 'colui che fa', vivente anche nell’equivalente antico scozzese, 'makar' - non sono leciti dubbi. Hughes fu immenso, basta rileggersi, possibilmente ad alta voce (lui era un famoso declamatore) le sue familiari descrizioni di animali, I lucci, Il falco appollaiato, I cavalli, dove la forza dell’immagine, nata da un’osservazione acutissima e da una conoscenza viscerale, si fonde inimitabilmente con la sonorità dei vocaboli e allo stesso tempo con la più antica tradizione inglese, ridando vita per esempio all’antichissima pratica dell’allitterazione. Innamorato dell’ambiente, Hughes fu un pioniere dell’ecologia, e basterebbe questo a renderlo più che attuale. Quanto poi alla sua «pietas» o comprensione dell’anima umana, si riprendano i componimenti delle intime, spesso irresistibili Lettere di compleanno: anche soltanto quello in cui si rievoca una sciagurata gita al mare, in cui Ted caparbiamente trascinò un’ostile Sylvia per dimostrarle la bellezza delle spiagge inglesi - ma trovò soltanto, invece, una desolazione autunnale e inquinata. 'Tu ti rifiutasti di scendere. / Rimanesti seduta dietro la tua maschera, inaccessibile - /gli occhi fissi all’oceano che ti aveva deluso. / Io andai fino all’acqua. Un’onda spenta / riuscì a sollevarsi e ad afflosciarsi. Poi un sibilo fioco / rotolò nere palline di petrolio e smosse qua e là oscuri rigurgiti»." (da Masolino D'Amico, E' un paradiso lo zoo di Hughes, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/11/'08)

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