mercoledì 27 febbraio 2008

Yehoshua a Pavia


Sabato 1° marzo Abraham Yehoshua presenterà il nuovo romanzo Fuoco amico (Einaudi) a Pavia:
- libreria Il Delfino, alle ore 16.30
- Collegio Ghislieri (aula magna), alle ore 18.
"[...] Fra le numerose interviste che hanno accompagnato l'uscita di Fuoco amico in Israele, se ne trova una rilasciata al quotidiano "Haaretz" nella quale Yehoshua si dichiara esausto del conflitto israeliano-palestinese come il suo protagonista, e non riesce a capacitarsi del perché i palestinesi scelgono la via delle armi, dei razzi sulle città israeliane del sud, anziché costruire la Striscia di Gaza. Fuoco amico è un romanzo accattivante, facile da leggere nonostante le quasi 400 pagine. Nella scorrevolezza della narrazione lo scrittore nasconde tutta la sua delusione, la paura per il futuro del suo Stato. Davvero significativa è la scena - a mio avviso la più bella - di una delle visite di Irmiau all'abitazione dove il figlio è stato ucciso. In una di queste egli incontra una giovane palestinese, abitante nella casa occupata dai soldati israeliani di cui il figlio faceva parte. Quest'ultimo venne colpito dal 'fuoco amico' perché, dopo aver fatto i bisogni in un secchio, voleva a tutti i costi sciacquarlo per non umiliare i padroni di casa. Ma questo gesto nobile non muove alcuna compassione nella giovane palestinese, che all'addolorato Irmiau parla in un ebraico dolce (come lo definisce Yehoshua stesso): 'Che è venuto a fare ancora qui? - mi domandava. - Cosa cerca un uomo, di notte, da chi lo odia? Perché importuna e spaventa mio padre? Che mostri pietà per suo figlio? Perché dovrei mostrare pietà per un soldato che si introduce a forza in un luogo che non gli appartiene, che non gliene importa niente di noi, chi siamo e cosa siamo, occupa il tetto di una famiglia per tendere un agguato a uno di noi e pensa che se ci farà un favore, se lascerà un secchio pulito e cancellerà i segni della sua paura, noi gli perdoneremo l'offesa, l'umiliazione?' (p. 342). In queste parole, che compaiono verso la fine del romanzo, sono racchiuse la complessità e l'intimità anche feroce che tormenta israeliani e palestinesi da decenni. Pasolini scrisse: 'L'Africa è la mia unica speranza', un concetto che Yehoshua, disilluso più che mai, ribadisce in questo romanzo afro-israeliano." (da Alon Altaras, Abraham Yehoshua afro-israeliano, "La Repubblica", 26/02/'08)

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