sabato 23 febbraio 2008

I giorni dell'amore e della guerra di Tahmina Anam

"L'inseguimento dell'armonia del mondo. I cicli della natura e delle generazioni, la minuziosa cognizione del dolore. Pace e guerra in Bangladesh: le spezie della cucina, la grana della luce, l'aria umida del monsone; le brutalità dei soldati occupanti, gli abusi, le torture, la sofferenza dei civili, l'angoscia dei rifugiati. Cose raccolte con scrittura nitida e diretta. La vita così, semplicemente.

Un po' come nel best-seller Il cacciatore di aquiloni. Ma in più, nell'ambizioso romanzo familiare I giorni dell'amore e della guerra della scrittrice Tahmina Anam (Garzanti), pulsa un respiro epico, un turbinare da Via col vento, un intreccio di battaglie, fughe, rivendicazioni e passioni estreme. Insieme a un senso forte dei confini, a una consapevolezza della propria terra. Lei, Tahmina, nata a Dacca nel 1975 e cresciuta tra Parigi, New York e Bangkok, laureata a Harvard in antropologia sociale e commentatrice politica per alcune grandi testate inglesi, è una donna di dolce e vellutata bellezza che vive a Londra e ha un fidanzato americano. Il successo l'ha colta di sorpresa: la critica anglosassone ha acclamato come un debutto prodigioso questa sua fluida ballata in veste di romanzo che descrive, attraverso il racconto della vita della nonna, uno dei più tremendi genocidi del Novecento, quello perpetrato nel 1971 dall'esercito di occupazione pakistano durante la guerra di indipendenza del Bangladesh. 'Un libro sconvolgente e memorabile' ('The Observer". 'Sancisce la nascita di una scrittrice unica' ("Times Literary Supplement"). 'Un romanzo straordinario, pervaso da una stridente nostalgia e dotato di una forza narrativa senza pari' ("The Independent"). Per una volta non si esagera nell'avvertire le dimensioni di un 'caso' letterario. Tahmina Anam, è vero che il romanzo nasce dalla storia vera della sua famiglia? 'Sì. Mia nonna, che è il modello di Rehana, la protagonista, era una vedova con tre figli che rifiutò di risposarsi, e durante la guerra la sua casa divenne uno dei maggiori centri della resistenza in Bangladesh. Per me è stato molto strano scoprire da adulta, attraverso le ricerche fatte per il libro, l'incredibile coraggio e la capacità di eroismo di questa donna semplice e tenera alla quale da piccola sono stata molto vicina. Lei in realtà aveva ospitato combattenti, organizzato collette per i profughi, cucito coperte in nome della rivoluzione. Casalinga, eroica e rivoluzionaria. Questo può capitare in guerra alle persone normali. Mi è piaciuto scrivere di conflitti sanguinosi a partire dalla sua prospettiva intima, domestica'.

La guerra guardata dalle donne? Questo può definirsi il suo tema? 'Il lettore vede tutto con gli occhi di Rehana; non gli vengono mai mostrAte scene di guerra. Del mondo esterno apprende solo quanto sa lei stessa. Il cuore del romanzo è il viaggio emotivo e psicologico di Rehana, il suo passaggio progressivo da madre a rivoluzionaria. La sua preoccupazione fondamentale sono i figli, e tutto ciò che compie è una conseguenza del suo amore per loro: un punto di vista assai diverso da quello di un soldato che lotta per politica o patriottismo'. E' spaventoso ciò che descrive sugli orrori compiuti dall'esercito di occupazione pakistano. Fu davvero tutto così efferato? 'Mi sono basata solo su documenti autentici. E sono innumerevoli le testimonianze fotografiche. In realtà non ci fu uno scontro tra soldati. I militari pakistani combatterono la loro guerra ingiusta contro una popolazione di civili deboli e inermi. Troppo facile'. Nonostante tutto il dolore che vi è raccontato, il libro esprime un solare ottimismo. 'Facendo le mie ricerche per il romanzo ho parlato della guerra con persone che, insieme a vicende personali atroci, mi riferivano i loro sogni, le passioni, la voglia di libertà coltivata durante la guerra, cose belle da cui trarre forza per lottare. Il titolo del libro è A Golden Age, l'età dell'oro, proprio perché parla di gente capace di grandi speranze'. Nel romanzo c'è una scena d'amore narrata in modo assolutamente esplicito. Non le ha creato problemi in Bangladesh? 'Nessuno finora si è lamentato. Il romanzo è stato accolto bene ovunque, e in Bangladesh i sopravvissuti alla guerra si sono detti molto colpiti dal fatto che una persona dell'età dei loro figli scrivesse una storia sulla generazione precedente. Molti hanno pianto riconoscendosi nel libro'. Rehana, la sua protagonista, ha avuto un matrimonio combinato. Non è un'usanza folle e arcaica, da deprecare? 'Mi è difficile rispondere. le cose sono sempe più complesse di come appaiono. Personalmente non lo farei mai, però posso capire. Ho amici che vivono felicemente matrimoni combinati. Molti giovani emigrati che vivono fuori dal Bangladesh vogliono sposare una connazionale, e a tale scopo utilizzano contatti con la terra d'origine. E' un po' come il problema dell'uso del velo per le donne: ce ne sono di colte e moderne che decidono di portarlo senza essere mai state obbligate a farlo. Il velo può essere non solo simbolo di una tardizione religiosa, ma una scelta individuale e culturale'. E' vitalissima la letteratura in lingua inglese dell'Oriente. Ha avuto punti di riferimento tra gli autori orientali che scrivono in inglese? 'Molti abitanti del sub-continente indiano sono cresciuti parlando e scrivendo in inglese, perciò non sorprende che tanta buona letteratura nasca in India e in Pakistan. Mi ha ispirato, nella struttura più che nello stile, I figli della Mezzanotte di Salman Rushdie, letto da adolescente. Un libro decisivo, che rappresentò un approccio nuovo non solo alla letteratura, ma alla storia, facendo capire che si può nararre il percorso storico di un Paese dipingendolo coem una fiction. Credo sia stato il romanzo che più di ogni altro ha stimolato in modo innovativo chiunque scriva sull'India o sul sub-continente'. Il Bangladesh è il terzo paese musulmano del mondo, dopo Pakistan e Indonesia, e non è immune dall'estremsimo islamico. Come vede il futuro? 'C'è stata, sì, un'ascesa dell'estremismo, ma sono convinta che la maggior parte dei bangladesi siano musulmani moderati: abbiamo una forte tradizione di pluralismo e laicità. Per questo sono fiduciosa. D'altra parte non mancano segnali di progresso, come la Grameen Bank di Muhammad Yunus, il progetto di microcredito che l'hanno scorso ha ricevuto il Nobel per la pace." (da Leonetta Bentivoglio, Tahmina Anam, "Almanacco dei Libri", "La Repubblica", 23/02/'08)

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