giovedì 30 aprile 2020

I musei illustrati. I siti storici italiani si animano in cinquantuno storie disegnate dai nostri migliori autori, che ora potete trovare gratis su Internet

(da Lara Crino', I musei illustrati, Robinson, 11/04/2020)



Fumetti nei musei

"Regna il silenzio tra l'erba che circonda i templi di Paestum. Restano in ombra le sale solitamente affollate degli Uffizi, di Capodimonte e degli altri musei grandi e piccoli che conservano i segni della nostra storia. Anche per loro vige il Lockdown ma non è detto che ci si debba dimenticare della bellezza. Anzi esistono modi di vederla con occhi nuovi. Il Graphic Novel è forse tra i meno consueti ma ha dimostrato di funzionare assai bene. Così fino al 10 maggio chi vorrà potrà farsi condurre alla scoperta di opere, storie, segreti dell'arte da accompagnatori inusuali, una squadra di fumettisti di prim'ordine che va da Altan a Tuono Pettinato, da Maicol & Mirco a LRNZ ad Alice Socal, da Vincenzo Filosa a Ratigher.
Aderendo alla campagna #ioleggoacasa infatti le edizioni Coconino Press e il Ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo hanno deciso di fare un regalo ai lettori: rendere disponibili online, gratuitamente e a rotazione le cinquantuno tappe della collana Fumetti nei musei, realizzata da Coconino Press e MiBACT per narrare con un linguaggio nuovo ciò che si nasconde fra le statue, le tele, le rovine antiche. [...] Rendere gli albi visibili online in questo momento a musei chiusi dà un senso ulteriore all'operazione [...]."

giovedì 23 aprile 2020

La peste di Albert Camus



"Nella città algerina di Orano la mattina del 16 aprile di un anno imprecisato, il dottor Bernard Rieux esce dal suo studio e inciampa in un sorcio morto sul pianerottolo. E' solo l'inizio, il primo segnale dell'insorgere dell'epidemia di peste narrata da Albert Camus nel suo celebre romanzo del 1947, che ora è un prezioso soggetto letterario per decifrare il momento drammatico che stiamo vivendo.
Nelle pagine iniziali de La peste i topi morti si moltiplicano in pochi giorni in modo enigmatico e vertiginoso e poco tempo dopo tocca anche all'uomo: febbre, vomito, bubboni e morte. L'evidenza non tarda a venire: 'I topi sono morti di peste o di qualcosa che le somiglia molto. Hanno messo in circolazione decine di migliaia di pulci che trasmettono il contagio secondo una proporzione geometrica, se non lo si ferma in tempo'.
Quando si comincia  a parlare dell'epidemia e delle misure adeguate da prendere, durante una riunione di emergenza nella prefettura di Orano, i medici sono già in grado di riferire i risultati delle analisi: in seguito all'incisione dei bubboni il laboratorio crede di riconoscere il tozzo microbo della peste. [...]" (da Paolo Zellini, I confronti sulla peste e il senso di comunità, "Corriere della sera", 23/04/2020)

Albert Camus, La peste


mercoledì 22 aprile 2020

MEDIALIBRARYONLINE LA BIBLIOTECA DIGITALE QUOTIDIANA





MLOL è la prima rete italiana di biblioteche pubbliche, accademiche e scolastiche per il prestito digitale. Ad oggi le biblioteche aderenti sono oltre 6.000 in 20 regioni italiane e 10 paesi stranieri.Per utilizzare MediaLibraryOnLine è necessario essere iscritti a una delle biblioteche aderenti.
Attraverso il portale, si può consultare gratuitamente la collezione digitale della propria biblioteca: ebook, musica, film, giornali, banche dati, corsi di formazione online (e-learning), archivi di immagini e molto altro.
MediaLibraryOnLine permette alle biblioteche italiane di sperimentare il prestito digitale. Si può utilizzare il servizio di prestito da casa, dall'ufficio, dalla scuola e non sarà più necessario presentarsi fisicamente in biblioteca per vedere un film o ascoltare musica.
Non solo. Alcune tipologie, come audio e e-book, comprendono anche risorse in download che potrai scaricare e portare con te sul tuo dispositivo mobile.


Il Sistema Bibliotecario della Lomellina ha acquistato un nuovo servizio del Gruppo Mondadori aumentando così la disponibilità di titoli per il prestito digitale di libri:BUR: 9 titoli; 
Piemme: 1.303 titoli; 
Einaudi: 3.010 titoli; 
Mondadori: 6.053 titoli; 
Mondadori Libri Trade Electa: 257 titoli; 
Rizzoli: 61 titoli; 
Rizzoli libri: 3.940 titoli; 
Sperling & Kupfer: 1.682.





La 'peste nera' nel Decameron



“Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali giá hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o giá ne ricevette piacere, io sono un di quegli. [...] Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri. [...]” (da Giovanni Boccaccio, Decameron)

Decameron (WikiSource)

martedì 21 aprile 2020

La peste del 1630 ne I Promessi sposi



“[...] La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese, s’intende, anzi in Milano quasi esclusivamente: ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, come a un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro fine non è, per dir la verità, soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria più famoso che conosciuto. [...]” (da Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1840, cap. XXXI)

Peste del 1630 (Wikipedia)

martedì 14 aprile 2020

Coronavirus, la primatologa Jane Goodall: “La mancanza di rispetto per gli animali ha causato la pandemia”

«È il nostro disprezzo per la natura e la nostra mancanza di rispetto per gli animali con cui dovremmo condividere il pianeta che ha causato questa pandemia, qualcosa che era stata prevista molto tempo fa». Così Jane Goodall, primatologa britannica di fama mondiale e conosciuta per la sua ricerca pionieristica in Africa sulla vera natura degli scimpanzé, spiega la diffusione in tutto il mondo del coronavirus. 

Durante una teleconferenza in vista dell'uscita del nuovo documentario del National Geographic “Jane Goodall: The Hope”,  ha aggiunto: «Perché mentre distruggiamo, diciamo la foresta, le diverse specie di animali nella foresta sono costrette a venire in contatto fra di loro e quindi le malattie vengono trasmesse da una specie all’altra, e il secondo animale ha quindi maggiori probabilità di infettare gli esseri umani poiché è costretto a stare stretto contatto con noi».
Goodall punta il dico anche contro gli animali selvatici venduti nei mercati africani o asiatici, in particolare in Cina, «e nelle nostre fattorie intensive in cui raggruppiamo crudelmente miliardi di animali in tutto il mondo. Queste sono le condizioni che creano un’opportunità per i virus di saltare dagli animali attraverso la barriera delle specie verso l’uomo».
La primatologa plaude per la decisione della Cina di vietare la vendita e il consumo degli animali selvatici vivi, cosa che dovrebbe essere fatta anche in Africa dove però lei vede delle complessità in più: «Lì è più difficile smettere di vendere carne di animali cacciati perché sono molte le persone che si affidano a quello per il proprio sostentamento. È una decisione che avrà bisogno di un molte e attente considerazioni su come dovrebbe essere fatto: non puoi semplicemente impedire a qualcuno di fare qualcosa quando non hanno assolutamente soldi per sostenere se stessi o le loro famiglie, ma almeno questa pandemia dovrebbe averci insegnato il tipo di cose fare per impedirne un altro».
Nonostante la difficile battaglia che tutto il mondo sta combattendo per sconfiggere il virus, la primatologa britannica spera che diventi l’occasione per un importante insegnamento: «Dobbiamo renderci conto di essere parte del mondo naturale, dipendiamo da esso e, mentre lo distruggiamo, in realtà stiamo rubando il futuro ai nostri figli».
I blocchi che stanno avvenendo in tutto il mondo, possono spingere le persone a vivere la propria vita in modo diverso, facendo comprendere loro che «tutti possono avere un impatto ogni singolo giorno – spiega la Goodall – . Se pensi alle conseguenze delle piccole scelte che fai: ciò che mangi, da dove viene, ha causato crudeltà verso gli animali, è fatto da un'agricoltura intensiva - che per lo più lo è - è economico a causa dello schiavo bambino lavoro, ha danneggiato l'ambiente nella sua produzione, da dove viene, quante miglia ha percorso, hai pensato che forse potresti camminare e non prendere la tua auto».
Ciò che possiamo fare nella nostra vita individuale «dipende un po’ da chi siamo, ma tutti possiamo fare la differenza, tutti possono farla».

Spillover. L'evoluzione delle pandemie di David Quammen

"Il virus siamo noi, nessuno si senta offeso". Un'intervista a David Quammen
da "Wired"


“Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”: non sono parole di un filosofo evoluzionista ma di un autore americano poco più che settantenne, un uomo nato in Ohio nel ’48, a pochi anni dalla fine della guerra, e che della sua infanzia ricorda il tempo passato in una foresta di pini, poi distrutta dai bulldozer per fare spazio a qualcos’altro (“un’esperienza formativa”, la definisce lui). David Quammen è una persona parecchio impegnata, di questi tempi: scrittore e divulgatore scientifico, ha una carriera invidiabile anche da giornalista e columnist, ma è soprattutto l’autore di Spillover, il saggio narrativo del 2012 (in Italia è arrivato nel 2014 con Adelphi) sulla diffusione dei nuovi patogeni, tornato di urgente attualità con la crisi del coronavirus e meritevolmente andato a ruba.
Nel suo libro più celebre – un allucinato ma scrupoloso viaggio mistico di scoperta alla radice della condizione umana, solo mascherato da nonfiction a tema scientifico – Quammen mette insieme una storia letteraria delle grandi epidemie, e insieme ci spiega perché saranno sempre di più: parla (siamo nel 2012, tenete a mente) della prossima pandemia globale e si chiede se verrà fuori da “un mercato cittadino della Cina meridionale”, spiegando puntualmente che questi virus sono l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo agli ecosistemi e all’ambiente. “Quando hai finito di preoccuparti di questa epidemia, preoccupati della prossima”, ha detto con poco ottimismo di recente in una sua column sul New York Times. Noi di Wired gli abbiamo fatto qualche domanda sulla complicata gestione italiana del coronavirus, su come possiamo fermare i contagi e in che modo il riscoprirci all’improvviso un unico, grande ospite per il virus influisce sul nostro concetto di identità.
In un op-ed sul New York Times più di un mese fa, lei sosteneva che era troppo presto per conoscere la vera pericolosità del virus che allora era stato ribattezzato nCoV-2019. Guardando agli ultimi giorni, come definirebbe lo sviluppo attuale dell’epidemia?
“È vero, sul New York Times alla fine di gennaio ho detto che non sapevamo ancora quanto sarebbe stato pericoloso questo nuovo virus (è interessante notare che non sapevamo nemmeno come chiamarlo. Il nome provvisorio, come dicevo, era nCov-2019. Ora la sua denominazione ufficiale è Sars-CoV-2, anche se le persone stanno facendo confusione chiamandolo Covid-19, che invece è il nome della malattia). C’è ancora moltissima incertezza. L’unica sorpresa positiva dalla fine di gennaio è che la Cina, dopo un inizio terribile, ha preso il controllo del tasso di diffusione. Per quanto mi riguarda un’altra sorpresa è anche che il morbo non è esploso nell’Africa subsahariana, in paesi che hanno bravi medici ma sono carenti sotto il profilo delle risorse sanitarie, come la Repubblica democratica del Congo. Ho timore di ciò che potrebbe succedere quando il virus arriverà. Un’altra sorpresa ancora, per forza di cose, è che fra tutti gli stati europei è l’Italia a essere stata colpita così duramente.
Sappiamo qualcosa di più, oggi, su quanto è pericolosa questa malattia per il mondo intero? No. Rimane anzi la stessa incertezza nei riguardi di: a che punto è il virus; quanto rapidamente le nazioni sapranno mettere in piedi risposte efficaci; se le chiusure, come quella della Cina a Wuhan o quella dell’Italia nelle regioni del nord, funzioneranno e, per finire, cosa potrebbe combinare il virus, ed evolvendo come”.
Il suo Spillover è giustamente citato come il testo da leggere per capire cosa sta accadendo in queste settimane. Molti hanno visto una specie di profezia nella parte del libro in cui si occupa di The Next Big One – l’epidemia prossima ventura che avrebbe colpito il mondo – immaginando un virus che avrebbe potuto “venire fuori da una foresta pluviale o da un mercato cittadino della Cina meridionale”.  Stava davvero prevedendo il futuro, o era semplicemente ciò che la scienza si aspettava fin dall’inizio?
“Il mio libro essenzialmente ha predetto, in misura piuttosto precisa, ciò che stiamo vedendo: ma non sono stato preveggente, mi sono limitato a riportare in una forma composita ciò che alcuni esperti molto affidabili mi avevano preannunciato. In buona sostanza ciò che si diceva era: The Next Big One, la prossima grande pandemia, sarebbe 1) stata causata da un virus zoonotico che 2) viene da un animale selvatico, 3) verosimilmente un pipistrello, 4) probabilmente dopo essersi amplificato in un altro tipo di animale prima di passare agli esseri umani 5) poiché gli umani sono venuti forzatamente a contatto con questi animali, 6) molto probabilmente in un wet market 7) magari situato in Cina, e che 8) il nuovo virus si sarebbe rivelato particolarmente pericoloso se le persone contagiate gli avessero offerto un riparo, diffondendolo, prima di accusare alcun sintomo. Suona familiare?”.
L’aspetto più attraente di Spillover risiede forse nel mettere il lettore nei panni del virus, spiegando che le alterazioni ecologiche che gli esseri umani mettono in moto con frequenza sempre maggiore creano le condizioni perfette perché questi microorganismi proliferino. Significa che nei prossimi anni dovremo preoccuparci di sempre più epidemie come questa?
“Sì, dovremo davvero temere nuovi scoppi di epidemie virali, e sempre più crisi come questa. La cosa peggiore che può succedere con la malattia Covid-19 è che si diffonda fino a diventare una grave pandemia globale, infettando centinaia di milioni di persone e uccidendone milioni. La seconda peggior cosa che può succedere è che riusciamo a controllarla nei prossimi mesi, limitando con successo i danni e i sacrifici… e che quindi poi i politici e altri dicano okay, visto?, era un falso allarme, non è mai stato niente di che! e usino questa lettura sbagliata e compiaciuta come scusa per non arrivare preparati alla prossima epidemia.
Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno spillover, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. Quando un virus degli scimpanzé, per esempio, fa il salto per diventare un virus dell’uomo, ha aumentato enormemente il suo potenziale di successo evolutivo. Un esempio? Il virus che chiamiamo Hiv-1”.
Perché questi virus riescono a evolvere e adattarsi così rapidamente? C’è modo di fermarli?
“Certi gruppi di virus si adattano e cambiano molto più velocemente degli altri. I più rapidi fanno parte di un gruppo di famiglie di virus noto come virus Rna a singolo filamento. Significa che i loro genomi sono composti di un singolo filamento della molecola Rna, invece che il Dna, che è a doppio filamento. Un genoma Rna a singolo filamento commette molti più errori quando si copia mentre i virus si stanno replicando: e quegli errori, che si chiamano mutazioni, sono le materie prime dell’evoluzione per selezione naturale. Il vecchio meccanismo di Darwin. Quindi questi virus Ss-Rna, in costante mutamento e adattamento, sono più capaci di trasferirsi a nuovi ospiti, come gli esseri umani, e proliferare. E tra i più noti virus Rna a filamento singolo ci sono i coronavirus”.
Qui da noi abbiamo assistito a un dibattito acceso e prolungato circa le misure precauzionali prese dal governo per prevenire il contagio: come forse sa, il 31 gennaio l’Italia ha deciso di chiudere il traffico aereo con la Cina. In molti – anche in politica – sostengono che ciò che avremmo dovuto fare era piuttosto mettere in quarantena tutti coloro che tornavano dalla Cina. Lei crede che ciò avrebbe davvero potuto evitare tutto?
“E ora il nord del vostro paese è chiuso: una misura drastica e rischiosa che il mondo intero sta guardando con apprensione e supporto. Funzionerà? Arresterà la diffusione del virus? Io non sono un esperto di salute pubblica, non rientra nel perimetro degli scopi della mia ricerca, perciò parlerò in modo cauto e e modesto, scusandomi di non poter essere più certo. La mia ipotesi è che la chiusura di per sé, che sia utile o meno, non sarà sufficiente. È accompagnata da uno sforzo urgente che mira a tracciare i contagi e i loro contatti, isolare i casi in situazioni ospedaliere dedicate, incoraggiare la quarantena domiciliare di tutti i contatti dei casi sospetti, acquisire e produrre tutte le risorse (i kit per i test, le mascherine, altro equipaggiamento protettivo, anche conosciuto come Ppe) per proteggere gli operatori sanitari che vengono a contatto coi contagiati, e applicare queste misure di supporto anche in altre parti d’Italia? Se sì, allora forse il paese si salverà dal disastro e darà al mondo un esempio di grande valore. Io di certo lo spero”.
Ho pensato spesso, ultimamente, a una cosa che afferma in modo molto efficace e affascinante nei suoi viaggi in Spillover: queste epidemie scavano a fondo nelle nostre nozioni individuali del sé e dell’identità, in un certo senso dicendoci che siamo solo un altro ospite di questo pianeta. “L’antica verità darwiniana […] che l’umanità è davvero una specie animale”, per citare ancora il suo libro: “Le persone e i gorilla, i cavalli e i cefalofi e i maiali, le scimmie e gli scimpanzé e i pipistrelli e i virus. Siamo tutti sulla stessa barca”. Ma se lo siamo, come facciamo a scendere?
“Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma: siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo. Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus.
Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse”.
Un’ultima domanda. In buona sostanza, la Covid-19 è una cosa che non conosciamo ancora (o almeno, non abbastanza). In una società sempre meno allenata ad avere a che fare con ciò che è inaspettato e sconosciuto, questo significa – tra le altre cose – che molte persone si sono riversate nei supermercati e sui mezzi di trasporto, e hanno indossato mascherine protettive, temendo per la loro salute. Come pensa che i giornali e le istituzioni dovrebbero parlargli? Come si distingue una buona comunicazione scientifica e mediatica durante un’epidemia?
“Le istituzioni e i governi dovrebbero fidarsi dei loro scienziati – specialmente dei loro migliori epidemiologi – e dei loro esperti di sanità pubblica di lungo corso, in modo da parlare onestamente alle persone. Non devono mettere il bavaglio, zittire o riformulare ciò che dicono quegli esperti per timori che riguardano l’andamento del mercato azionario o le loro possibilità di essere rieletti. Questo è stato il grande problema nel mio paese, gli Stati Uniti, nelle ultime sei settimane. Abbiamo meravigliosi scienziati e dei funzionari della sanità pubblica molto saggi e misurati – il dott. Anthony Fauci, per fare un nome prestigioso – e loro sono le voci che il pubblico dovrebbe poter ascoltare. E sono certo che sia così anche in Italia.
E poi, ovviamente, c’è un ruolo importante per i giornalisti prudenti e gli scrittori – gente come te e me, Davide – che ascoltano la voce degli scienziati, leggono ciò che pubblicano sulle riviste scientifiche e traducono quelle materie complesse in un linguaggio chiaro e ordinario per il grande pubblico. Abbiamo l’enorme responsabilità di evitare sensazionalismi, esagerazioni o romanzamenti col semplice intento di vendere più libri o giornali, e l’obbligo di presentare le nostre storie come costruite a partire da fatti solidi e verificabili.
Per finire, auguro a voi e ai vostri lettori saggezza, coraggio e buona fortuna. Amo l’Italia e voglio tornarci il prima possibile: quando lo farò, non vedo l’ora di vedere come avrete superato – o starete superando – questa tempesta”.



lunedì 13 aprile 2020

La nostra forza, la cultura. Italia, Germania, Spagna: da tre ministri una proposta condivisa per ripartire, Dario Franceschini, Michelle Muntefering, Jose’ Manuel Rodriguez Uribes


da "Corriere della sera”, 04/04/2020
La nostra forza, la cultura. Italia, Germania, Spagna: da tre ministri una proposta condivisa per ripartire, Dario Franceschini, Michelle Muntefering, Jose’ Manuel Rodriguez Uribes


 “Come riuscire a sopportare le restrizioni ai contatti sociali? Come proteggere se stessi ma anche gli altri? [...] Anche se già oggi presagiamo che questa crisi lascerà tracce profonde, siamo tuttavia convinti che in futuro il sipario tornerà ad aprirsi nei teatri dell’opera e sui palcoscenici teatrali, che la gente tornerà ad affollare le sale cinematografiche, che i giovani torneranno a frequentare i festival, a ballare ed abbracciarsi.
Nel frattempo assistiamo alla trasformazione digitale e all’impatto delle tecniche digitali sulla società globale, in cui la gente interagisce in modo innovativo e la platea si amplia. Vediamo anche che la cultura può offrire soluzioni. Questi nuovi format sono molto più di un aiuto alla sopravvivenza nell’emergenza. Ci offrono l’opportunità di accedere, senza fermarsi ai confini, a nuovi canali culturali ed educativi nonché di contribuire alla creazione di un’opinione pubblica europea. Pertanto abbiamo concordato di riflettere insieme sullo sviluppo e sul sostegno di forme digitali nella politica culturale internazionale. [...] Che cosa ne sarebbe di noi in questo momento, senza libri, film e musica in cui trovare rifugio e sostegno? Che cosa sarebbero le nostre società senza chi le ha create? Senza le artiste e gli artisti. Siamo pertanto ancora più determinati a proteggere il nostro bene più prezioso: la fiducia in una convivenza solidale e nella forza della cultura.”

Dite ai più giovani che i libri li salveranno. Come far amare la lettura ai ragazzi

da Stefano Massini, "Dite ai più giovani che i libri li salveranno. Come far amare la lettura ai ragazzi", "Robinson", 15/12/2019



"I dati recenti dell'OCSE sui giovanissimi italiani e la comprensione di un testo scritto sono un'emergenza nazionale al pari del deficit nei conti pubblici, o del dissesto idrogeologico. Siamo sprofondati al venticinquesimo posto su trentasei, una catastrofe. [...] Mi chiedo spesso dove sia la carne, dove sia sprofondata la necessità del libro come fatto sociale, e mi torna ossessivamente in mente la lezione perfetta di Herman Hesse nel 1943 con il giovane illuminato Knecht che (fra gli anatemi della sua cerchia) si impone di scendere nel mondo, tornare a guardare la gente in faccia, insegnare ai ragazzi i miracoli dell'armonia, salvandoli. Salvarli, sì: il sottoscritto vide cambiare la propria esistenza quando qualcuno riuscì a ribaltargli la prospettiva, presentandogli i libri come straordinari manuali di sopravvivenza. Fu per me una rivoluzione, scoprii che i Melville, i Kafka, i Salinger, gli Shakespeare potevano essere insostituibili alleati nel mio percorso di apprendista della vita, le loro pagine erano oracoli a cui rivolgere domande e da cui uscire illuminati, più forti, più pronti a dipanare la matassa aggrovigliata dello stare al mondo. Per questo vitale debito di gratitudine che nutro da sempre verso la grande letteratura, credo valga la pena di batterci, ostinatamente, per contagiare l'amore per i libri, puntando tutto sulla loro funzione di memoria e guida. Andrebbe fatto anche fuori dalle quattro pareti scolastiche, in mare aperto, senza salvagente, con tutti i rischi del caso, credendoci fino in fondo, scendendo una buona volta da Castalia, accettando il confronto alla pari, e non per coltivare futuri premi Nobel, bensì - solo e soltanto - persone migliori."

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Il rito delle cerimonie pubbliche per ridare dignità alle vittime del COVID-19

da Giovanni De Luna, Il rito delle cerimonie pubbliche per ridare dignità alle vittime del COVID-19, "LA STAMPA", 25/03/2020

"Cimitero di Ferrara; un lungo corteo di camion dell'esercito arriva da Bergamo con le salme di cinquanta morti da cremare ... A un cenno del sindaco i camion si fermano e partono le note del "Silenzio" fuori ordinanza; nessun nome viene pronunciato, i morti sono solo bare, oggetti inanimati. Poi il trombettiere attacca con l'Inno di Mameli. Le musiche, i camion, i soldati tutto lascia pensare a un funerale di guerra, con una spiccata connotazione militare. E i cinquanta morti si trovano ad essere involontari protagonisti di un rituale che - nonostante la buona volontà del sindaco- non appartiene certo alle loro vite e soprattutto non rende giustizia alle loro morti. Sono morti in solitudine. [...] Solitudine nella morte, solitudine nell'ultimo addio. Il funerale inscenato del sindaco di Ferrara li ha trasformati in caduti di guerra. Non lo erano. E avrebbero voluto morire in un altro modo. Quando tutto sarà finito dovremo ricordarci di tutto questo. La morte, con i riti che la accompagnano, è anche un'occasione per rinsaldare i legami sociali. Quelli familiari anzitutto. In cerimonie pubbliche come quelle inventate a Ferrara, con la cancellazione delle singole morti individuali e il loro precipitare in una anonima dimensione pubblica, entrano in crisi elementi decisivi per l'elaborazione del lutto. Anche dopo la morte, infatti, la personalità del defunto rimane simbolicamente viva, coagulando intorno al suo ricordo tensioni emotive a volte difficili da gestire: i riti religiosi, con la carica evocativa dei loro gesti e delle loro parole, intervengono efficacemente per sciogliere queste tensioni grazie a pratiche consolidatesi in tradizioni millenarie (pianti, grida, discorsi, liturgie, musiche) e costruite come altrettante barriere protettive contro la violenza delle emozioni. I processi di elaborazione del lutto, l'acquisizione della consapevolezza del legame interrotto, la riformulazione delle relazioni sociali nei confronti di una persona che continua a esistere nel ricordo dei viventi: tutto questo è stato brutalmente lacerato dalle morti di massa scatenate dal corona virus. Siamo quindi debitori verso chi è morto in questi giorni e verso le loro famiglie; dobbiamo a ognuno di essi quello di cui sono stati privati. Dovremo inventarci cerimonie pubbliche che rimettano al centro le loro singole individualità, un ricordo che gli restituisca una presenza significativa anche nelle nostre vite: serve a loro per ritrovare la dignità negatagli e serve a noi per poter elaborare un lutto di cui oggi non siamo ancora pienamente consapevoli."

Giovanni De Luna su IBS