lunedì 11 febbraio 2008

"I baci più belli" di Guido Davico Bonino


"Diciamo la verità: quando pensiamo al bacio in narrativa, in poesia, a teatro, per lo più i nostri ricordi scolastici s’addensano intorno a due passi che, negli anni belli, furono per noi 'canonici': il carme 5 di Catullo, con quel suo vitalistico richiamo ad una pratica gioiosamente iterata ('dammi mille baci, eppoi cento - poi altri mille, poi daccapo cento, - poi mille altri ancora, e cento daccapo'); e il frequentatissimo canto V dell’Inferno dantesco, con quel bacio proibito, sollecitato dalla lettura dal peccaminoso libro arturiano Lancelot ('Quando leggemmo il disiato riso - essere basciato da cotanto amante, - questi, che mai da me non fia diviso, - la bocca mi basciò tutto tremante'): squarcio mirabile, che ciascuno di noi riviveva nei panni di Paolo, mentre Francesca non era nostra cognata, ma la ragazza del nostro migliore amico. Molti di noi - gli avvocati, gli ingegneri, i medici - non sono mai andati, com’era giusto fosse, molto più in là: mentre quelli che, nella muta e cupa disperazione dei genitori, hanno scelto la deprecabile carriera dei letterati hanno scoperto che di baci è trapunto l’intero arazzo delle letterature occidentali. Lasciamo stare la Bibbia e il Cantico dei Cantici (siamo comunque al X secolo avanti Cristo: 'Mi baci coi baci della sua bocca!'), giacché ci hanno spiegato che la trascinante sensualità nuziale di questo splendido poemetto amoroso è allegoria degli sponsali tra Iahweh e Israele: ma in Grecia, alle spalle di Catullo (che visse e scrisse nel I secolo avanti Cristo), la lirica erotica diede frutti così copiosi e mirabili che la sola difficoltà è scegliere.
Ma basti un esempio: quello di Bione di Flossa (siamo nei pressi di Smirne, alla fine del II secolo avanti Cristo), a cui è attribuito uno stupendo Lamento per Adone in 97 esametri. A piangere l’amato, bellissimo semidio ucciso, è Afrodite, che corre disperata per i boschi: 'Svegliati un poco Adone, dammi l’ultimo bacio, - baciami tutto il tempo che è vivo il tuo bacio, - finché esali il respiro dalla tua bocca e il tuo spirito - passerà dentro di me, finché avrò munto - il dolce filtro e bevuto il tuo amore, e custodirò questo bacio - come lo stesso Adone' (la traduzione è di Guido Paduano). [...]

Nel Trecento italiano, tra il 1348 e il ’53 vede la luce il capolavoro della nostra novellistica (e di quella europea), il Decamerone del Boccaccio. In quelle cento novelle di baci v’è profusione: ma il più bello, a nostro avviso, perché il più toccante, resta quello del bolognese Gentile de’ Carisendi. Ha sempre amato, e rispettato perché sposa di un altro, Caterina di Nicoluccio Caccianemico: per cavarsela dal cuore, ha accettato di trasferirsi a Modena come podestà: là apprende che è morta improvvisamente, e decide allora di recarsi a renderle l’estremo omaggio: 'E questo detto, essendo già notte, dato ordine come la sua andata occulta fosse, con un suo famigliare montato a cavallo, senza restare colà pervenne dove seppellita era la donna; e aperta la sepoltura, in quella diligentemente entrò, e postolesi a giacere allato il suo viso a quello della donna accostò, e più volte con molte lacrime piangendo il basciò' (siamo, per chi volesse sapere come va a finire, nella novella quarta della giornata X).
È una situazione echeggiata da un grande inglese, che non sapeva l’italiano, ma aveva un astigiano come suo consulente personale, un tale John Florio: vogliamo dire William Shakespeare: 'Occhi, guardate per l’ultima volta! Braccia, prendete il vostro ultimo abbraccio! E labbra, voi, porte del respiro, suggellate con un giusto bacio il contratto senza termine con la morte ingorda'. È Romeo, penetrato nel sepolcro dei Capuleti, nel cimitero di Verona, dinanzi a quello che egli crede il cadavere di Giulietta (siamo nella terza scena del V atto di Romeo e Giulietta, la traduzione è quella di Romana Rutelli).
La tragedia shakespeariana che ha varie fonti italiane alla sua base, dal piemontese Bandello al veneto da Porto, è ascrivibile al triennio 1594-97. Sono gli anni in cui fa le prime prove, tra la natia Campania e il Lazio, uno spregiudicato napoletano, presto destinato a divenire uno dei maggiori lirici del Barocco europeo, Giambattista Marino. Sensuale nella vita e nella lirica, Marino sfoggia una sfacciata propensione a disseminare di baci le esaltanti nudità delle amate, come in questo Seno: 'O che dolce sentier tra mamma e mamma - scende in quel bianco sen ch’Amor allatta! - ... Raccogli sol, cultor felice, e taci, - in quel solco divin (se’l vel nol vieta), da seme di sospir messe di baci'.
Verranno tempi di meno prorompente erotismo: verranno le stagioni, irte d’ostacoli, della restaurazione, non solo civile e politica, ma anche comportamentali, e dunque affettiva. Ma proprio i divieti, istituzionali e morali, rendono il bacio l’ambito suggello dei più grandi amori, degli amori impossibili. L’italo-greco Ugo Foscolo, che come amatore in proprio non ebbe rivali fra tutti i letterati coetanei della penisola, come autore di quel gioiello di romanzo epistolare che sono le Ultime lettere di Jacopo Ortis (1798-1817), vide nel bacio - nella fattispecie, del fuggitivo Jacopo alla Contessina Teresa T., promessa ad un altro - un’apoteosi del Divino: '14 maggio, ore 11. Sì, Lorenzo! - dianzi io meditai di tacertelo - or odilo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa - d’un suo bacio - e le mie guance sono state inondate dalle lacrime di Teresa. Mi ama - lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l’estasi di questo giorno di paradiso'.
Per ritrovare una vera e propria ubriacatura dei sensi, in cui il bacio (in tutte le sue varianti, non soltanto buccali) conosce una folgorante epifania, occorre spingerci al crinale tra Otto e Novecento, da dove dà un ininterrotto spettacolo
di sé il Poeta-Attore per definizione, Gabriele D’Annunzio. Anticipando quasi di un secolo l’odierna industria mediatica, il D’Annunzio poeta, tra il 1882 e il 1893, cioè tra i diciannove e i trent’anni, traspone in versi le sue 'imprese' erotiche con un protagonismo ed un narcisismo sfacciati: ed il bacio, anzi i baci, ne sono come un vessillo-suggello. Eccone un microflorilegio: 'Ch’io senta fremerti - la bocca odorosa di arancia, - fresca, vermiglia, ne ’l bacio mio' (1882: lei si chiama Giselda Zucconi, Lalla); 'chino a lei su la bocca io tutto, come a bere - da un calice, fremendo di conquista, sentivo - le punte de’l suo petto dirizzarsi, a ’l lascivo - tentar de le mie dita, quali carnosi fiori' (1883: lei è Maria Hardouin dei duchi di Gallese, che gli darà due figli); 'Oh ne la grotta - ampia e ninfale mormorii sommessi - d’acque e le risa de la mia serena! - Bevemmo e ci baciammo, ivi indugiando' (1886); 'Ma, come fummo al sommo, la bocca ansante m’offerse - ella: feriva il sole quel pallor suo di neve' (1887: lei si chiama Barbara Leoni e il bacio 'fatale' scocca sulla sommità del parco di Villa Medici, a Roma). Lasciamo il Novecento: la casistica è nota, pressoché infinita, e i baci via via sempre più rapidi preliminari di trasgressivi furori." (da Guido Davico Bonino, I baci più belli, "TuttoLibri", "La Stampa", 09/02/'08)
Alfabeto Einaudi di Guido Davico Bonino

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