giovedì 21 febbraio 2008

Il corpo e il sangue d'Italia. Otto inchieste da un paese sconosciuto


"Si tratta del generoso tentativo di una casa editrice di dar spazio al genere dell'inchiesta sociale, giornalistica però con forti accenti sociologici, all'interno della nostra cultura e in un momento in cui, grazie anche a Gomorra di Roberto Saviano, perfino l'inchiesta è diventata una moda mediatica tra tante, su cui molti editori si sono buttati con spavalda e televisiva disinvoltura. E davvero non se ne può più di giornalisti d'assalto, denunciatori dei mille disastri nazionali magari in funzione di una parte che, nel disastro, ha le sue belle responsabilità. Per i pochi, non pochissimi, che credono in un dovere di verità e che studiano a fondo ciò di cui intendono parlare (diciamo da Pino Corrias alla Milena Gabanelli e molti altri), quanti sono, tra gli inchiestatori, gli scandalizzati per mestiere e i moralisti per tornaconto? Questo rischio il libro di minimumfax (dal titolo sin troppo enfatico: Il corpo e il sangue d'Italia. Otto inchieste da un paese sconosciuto) non lo corre grazie ad alcune scelte dell'editore e del curatore: 'L'idea nasce da un'irritazione della pelle' dice Christian Raimo 'per il fastidio di vedere il mio Paese, il posto in cui vivo, raccontato, iper-raccontato, straindagato, strarappresentato, senza che mai questo mi porti un dato di conoscenza reale né sia una provocazione etica. Come se l'indagine, l'inchiesta fosse una forma di turismo della realtà'. Si contrappone a questo la scelta di insistere nella perlustrazione di un 'genere' che è continuamente da rinverdire, e non solo nel dovere e nel bisogno di sentirsi coinvolti nella realtà. Si tratta allora di compiere con l'inchiesta un 'atto squisitamente letterario e per questo profondamente politico'. Peraltro, uno degli autori presenti, Antonio Pascale, offre nel suo contributo - non un'inchiesta ma una disamina acutissima della voga attuale dell'inchiesta - un'analisi polemica e precisa dei rischi, degli alibi, delle 'maniere' dell'inchiesta, delle falsificazioni della realtà in cui incorre chi investiga senza la volontà di capire davvero e senza mettere in discussione i propri pregiudizi. 'Rappresentare significa fare esperienza di morale', scrive Pascale, e ricorda che esiste oggi anche un 'narcisismo' dell'inchiesta, un mettersi in scena che può confondere invece che aiutare a vedere. Il suo intervento meriterebbe di venir diffuso autonomamente, come un pamphlet sui nostri precisi gironi ma anche, nell'indicare certi vizi, stimolatore di più sani e necessari modi di 'fare inchiesta'. In una raccolta come questa contano però i risultati e, caso per caso, se non sempre sono all'altezza delle ambizioni che vengono dichiarate (i più interessanti sono forse le due indagini sul potere e sull'economia di Taranto, scritti da Leogrande e da Bellucci; sull'Islam a Roma di Liberti, sullo strozzinaggio di Ricuperati), sono una dimostrazione dell'utilità del guardarsi attorno in molti modi e di un serio interesse per la conoscenza del cosiddetto Paese reale, di quel Paese che sono proprio i politici e i giornalisti (coloro che in teoria dovrebbero conoscerlo meglio) a ignorare di più, stupendosi poi delle sue involuzioni e delle sue trasformazioni quando vengono clamorosamente alla luce. 'Fare inchiesta' dovrebbe implicare una qualche volontà di cambiamento della realtà analizzata e denunciata nelle sue insufficienze o storture, ma questo non è affatto facile, oggi, né esistono criteri validi sempre e ovunque per realizzarne e 'scriverne' di buono." (da Goffredo Fofi, Contro il turismo della realtà, "Il Sole 24 Ore Domenica", 17/02/'08)

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