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"Si tratta del generoso tentativo di una casa editrice di dar spazio al genere dell'inchiesta sociale, giornalistica però con forti accenti sociologici, all'interno della nostra cultura e in un momento in cui, grazie anche a Gomorra di Roberto Saviano, perfino l'inchiesta è diventata una moda mediatica tra tante, su cui molti editori si sono buttati con spavalda e televisiva disinvoltura. E davvero non se ne può più di giornalisti d'assalto, denunciatori dei mille disastri nazionali magari in funzione di una parte che, nel disastro, ha le sue belle responsabilità. Per i pochi, non pochissimi, che credono in un dovere di verità e che studiano a fondo ciò di cui intendono parlare (diciamo da Pino Corrias alla Milena Gabanelli e molti altri), quanti sono, tra gli inchiestatori, gli scandalizzati per mestiere e i moralisti per tornaconto? Questo rischio il libro di minimumfax (dal titolo sin troppo enfatico: Il corpo e il sangue d'Italia. Otto inchieste da un paese sconosciuto) non lo corre grazie ad alcune scelte dell'editore e del curatore: 'L'idea nasce da un'irritazione della pelle' dice Christian Raimo 'per il fastidio di vedere il mio Paese, il posto in cui vivo, raccontato, iper-raccontato, straindagato, strarappresentato, senza che mai questo mi porti un dato di conoscenza reale né sia una provocazione etica. Come se l'indagine, l'inchiesta fosse una forma di turismo della realtà'. Si contrappone a questo la scelta di insistere nella perlustrazione di un 'genere' che è continuamente da rinverdire, e non solo nel dovere e nel bisogno di sentirsi coinvolti nella realtà. Si tratta allora di compiere con l'inchiesta un 'atto squisitamente letterario e per questo profondamente politico'. Peraltro, uno degli autori presenti, Antonio Pascale, offre nel suo contributo - non un'inchiesta ma una disamina acutissima della voga attuale dell'inchiesta - un'analisi polemica e precisa dei rischi, degli alibi, delle 'maniere' dell'inchiesta, delle falsificazioni della realtà in cui incorre chi investiga senza la volontà di capire davvero e senza mettere in discussione i propri pregiudizi. 'Rappresentare significa fare esperienza di morale', scrive Pascale, e ricorda che esiste oggi anche un 'narcisismo' dell'inchiesta, un mettersi in scena che può confondere invece che aiutare a vedere. Il suo intervento meriterebbe di venir diffuso autonomamente, come un pamphlet sui nostri precisi gironi ma anche, nell'indicare certi vizi, stimolatore di più sani e necessari modi di 'fare inchiesta'. In una raccolta come questa contano però i risultati e, caso per caso, se non sempre sono all'altezza delle ambizioni che vengono dichiarate (i più interessanti sono forse le due indagini sul potere e sull'economia di Taranto, scritti da Leogrande e da Bellucci; sull'Islam a Roma di Liberti, sullo strozzinaggio di Ricuperati), sono una dimostrazione dell'utilità del guardarsi attorno in molti modi e di un serio interesse per la conoscenza del cosiddetto Paese reale, di quel Paese che sono proprio i politici e i giornalisti (coloro che in teoria dovrebbero conoscerlo meglio) a ignorare di più, stupendosi poi delle sue involuzioni e delle sue trasformazioni quando vengono clamorosamente alla luce. 'Fare inchiesta' dovrebbe implicare una qualche volontà di cambiamento della realtà analizzata e denunciata nelle sue insufficienze o storture, ma questo non è affatto facile, oggi, né esistono criteri validi sempre e ovunque per realizzarne e 'scriverne' di buono." (da Goffredo Fofi, Contro il turismo della realtà, "Il Sole 24 Ore Domenica", 17/02/'08)
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