domenica 10 febbraio 2008

"La nostalgia della neve nella città senza inverno"

"If I am looking for a story at all, it is in my relationship to the subject - the story that tells me, rather than that I tell." (Bruce Davidson)


"Vedremo mai più la neve così nelle nostre città? Neve che pulisce, che nasconde, che rasserena anche la più gelida e meno accogliente delle metropoli? Potremo mai più camminare, come qui, su un tappeto silenzioso, affondando leggermente i piedi nel bianco scintillante, mentre dal cielo continuano a cadere, in disordine vorticoso, i fiocchi che si posano sugli alberi, sui rami, sulle lanterne, sulle spalle e sui capelli? Torneremo mai più ad ammirare la faccia benigna dell'inverno che ci riversa addosso nevicate vere, anche pungenti, anche sospinte da soffio violento, o ci dovremo per sempre accontentare della finta neve di cotone incollata alle vetrine natalzie, melanconica testimonianza della nostra nostalgia? Quest'immagine che somiglia a un quadro antico, a un olio fiammingo d'altro tempo - di quando il mondo era ancora in ordine, con tutte le sue stagioni normali e regolari - è una foto scattata nel 1992 a New York, Central Park da Bruce Davidson: neppure tanto tempo fa, insomma, eppure i giorni che narra sembrano distanti, mitici, irrimediabilmente perduti, dei quali però, ci resta, ben vivo, il ricordo. Adesso, per qualche misterioso castigo di Dio, evidentemente in collera con noi, il massimo che ci viene concesso nelle nostre lugubri città invernali, è una breve nevicata che poco dopo diventa pioggia, e il bianco delle strade subito si trasforma in sporca fanghiglia che i passanti maledicono, e quello dei tetti presto si macchia di fumo nero per precipitare poi a terra triste in massa bagnata. Ciò che resta sono blocchi di neve grigia e irriconoscibile, spalata in qualche angolo morto di piazze e strade, in attesa che, a scioglierla, intervenga, pietosa, la primavera. Si può pregare per la pioggia, ma si è mai visto pregare per la neve? Del resto, a chi può servire la neve in città? Non agli automobilisti, non ai negozianti, non ai baristi, non ai postini, non ai tranvieri, non agli anziani e ancora meno ai sindaci, ai poliziotti e ai vigili. Servirebbe ai bambini per fabbricare pupazzi, servirebbe ai ragazzi per sognare bufere che costringano a chiudere le scuole, e servirebbe a certi ostinati che rimpiangono i sorprendenti risvegli mattutini nel bianco ovattato senza rumori e, poi, giù in strada, i passi felpati nella coltre soffice. Ma sono categorie che non contano e, dunque, niente novene perché torni a nevicare. E il cielo si guarda bene dal concedere il miracolo [...]. E' vero, sulle panchine ingombre non ci si può sedere nemmeno due minuti e i piedi certamente si bagnano un pcoo se le scarpe non sono quelle giuste - però i newyorkesi sanno bene che ci vogliono stivali e guanti giusti per uscire con queste temperature - e la visibilità nel parco è ridotta al minimo, ma cosa c'è di meglio che camminare in due sotto la neve, bozzolo chiuso e tiepido anche in mezzo al freddo? Soli contro il mondo si avanza sottobraccio respirando l'aria gelida mista ai fiocchi; ci si appoggia e ci si sostiene l'un l'altro per non scivolare, quasi quasi si è tentati di amarsi più del solito, e ci si gode il cane che non si raccapezza, tira il guinzaglio, si agita cercando di afferrare la neve che viene dall'alto [...]. Poi, tolti i cappotti, le sciarpe, i guanti e i berretti, si vorrà andare alla finestra a rivedere ancora la faccia bella dell'inverno, a riammirare il miracolo che, per qualche tempo, fa sembrare innocenti anche le città più nere e più cattive." (da Isabella Bossi Fedrigotti, La nostalgia della neve nelle città senza inverno, "Corriere della Sera", 10/02/'08)
(immagine: Central Park in Winter, New York City, 1992, Bruce Davidson - Magnum Photos)

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