martedì 26 febbraio 2008

Alain Robbe-Grillet


"La scomparsa di Alain Robbe-Grillet lo scorso 18 febbraio rende ancora più acuta una domanda che già venne posta alla morte di Claude Simon (1913-2005, premio Nobel per la letteratura nel 1985): che cosa resta, oggi del 'nouveau roman', dell''école du regard'? Bisogna intanto circoscrivere, da eccessive dilatazioni, l'ambito stesso del 'nouveau roman': secondo un ritratto che ne fece uno dei protagonisti Jean Ricardou (Le nouveau roman, Paris, 1978), il movimento riconosceva se stesso in Michel Butor, Claude Ollier, Robert Pinget, Alain Robbe-Grillet, Nathalie Sarraute, Claude Simon. Nel definirsi, il gruppo identifica una data di nascita: il luglio 1971, a Cerisy-la-Salle, nel Colloquio dedicato appunto al Nouveau Roman. I percorsi sono tuttavia, visti ora a distanza, dopo quel decennio di solidarietà, assai diversi e si polarizzano almeno in due visioni distinte del far prosa narrativa, quella dell''antiromanzo' e quella della 'scuola dello sguardo'. Alla prima, per ragioni anche di formazione e di biografia, appartiene certo Nathalie Sarraute (1900-1999), che inizia a pubblicare nel 1939 Tropismes e nel 1948 Portrait d'un inconnu, libri che si affermano solo nella ristampa prefata e autorizzata da Jean-Paul Sartre (1956). Giova a richiamare quella pagina liminare di Sartre: 'Uno dei tratti più singolari della nostra epoca letteraria è costituito dall'apparizione, qua e là, d'opere vivaci e assolutamente negative che potebbero venir definite antiromanzi. Gli antiromanzi conservano l'apparenza e la cornice del romanzo; sono opere d'immaginazione che ci presentano personaggi fittizi e ce ne narrano la storia. Ma solo e proprio per provocare una maggiore delusione: si tratta di contestare il romanzo servendosi del romanzo stesso, di distruggerlo, sotto i nostri occhi, mentre si finge d'edificarlo, di scrivere il romanzo d'un romanzo che non si concreta, che non può concretarsi'. Gli 'antiromanzi' sono riusciti nel primo intento (distruggere il romanzo, che oggi vive di stentato minimalismo), molto meno nel secondo: per riuscire a 'creare nella negazione' occorre avere la potenza di rendere assoluta la cancellazione, la tabula rasa, che solo alcuni grandi metafisici del nulla hanno avuto: Beckett o Tadeus Kantor. La 'scuola dello sguardo' ha avuto in Robbe-Grillet e in Butor i più fecondi interpreti, l'uno alleando la scrittura al cinema (siamo tutti debitori, nella nostra formazione, dell'Année dernière à Marienbad di Alain Resnais e Robbe-Grillet, Leone d'oro a Venezia, 1961), l'altro alla musica (con le opere scritte in collaborazione con Henri Pousseur). Butor farà spesso riferimento nei suoi saggi alla necessità di una descrizione puntigliosa dell'oggetto, solo garante di uno spazio di cui il soggetto è ormai spossessato:

'Il solo modo di dire la verità, di andare alla ricerca della verità, è quello di confrontare instancabilmente, metodicamente, ciò che noi siamo usi raccontare con ciò che noi vediamo' (Ricerche sulla tecnica del romanzo). Alain Robbe-Grillet ci ha lasciato pagine perfette di questo programma nel suo romanzo Le voyeur, in quel suo descrivere con ossessiva precisione il volo dei gabbiani e il movimento delle onde. Ma non inizierà proprio così il 'voyeur' italiano, il signor Palomar di Calvino, che si apre appunto con la Lettura di un'onda? Forse si potrebbe dire che l'eredità più bella del 'nouveau roman' è l'opera di Italo Calvino dopo il 1970: come Butor, interprete delle geometrie utopiche perfette di Charles Fourier; come Robbe-Grillet, osservatore instancabile del quotidiano, del suo impercepito, della sua folta, eppur invisibile presenza di forme. E, più in profondo, tormentati tutti dalla tentacolare presa sull'umano della 'città a a venire': che si tratti del Projet pour une révolution à New York (1970) di Robbe-Grillet o delle Città invisibili di Calvino (1972), possiamo constatare che noi viviamo oggi ciò che allora essi profetarono. Siamo nella modification irreversibile di uno spazio che non è più a misura d'uomo, e che la 'vera mappa dell'universo sia la città d'Eudossia così com'è, una macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zig zag, case che franano una sull'altra nel polverone, incendi, urla nel buio' (Le città e il cielo. I)." (da Carlo Ossola, La scuola cui guardò Calvino, "Il Sole 24 ore Domenica", 24/02/'08)

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