lunedì 2 maggio 2011

Raccontate, donne, la vostra vita o la storia vi dimenticherà


"Scrivere la vita di una donna - per ricordare un fortunato titolo di Carolyn Heilbrun - è un esercizio di storia, memoria, letteratura e in qualche modo politica. Dagli anni Settanta, studiose e scrittrici, studiosi e scrittori americani ed europei hanno avviato una monumentale impresa collettiva: ri-scrivere le vite delle donne del passato. Ritrovarne i nomi sepolti, le storie perdute, le opere e le azioni. Con lo scopo dichiarato di restituire loro il posto che meritavano negli eventi del loro tempo e nella storia della cultura. E con lo scopo pedagogico, in qualche modo sottinteso, di fornire esempi e modelli alle donne del presente, creando un pantheon alternativo a quello tradizionale e nuove icone. Il fenomeno non accenna a declinare. Una delle più influenti intellettuali europee, la semiologa Julia Kristeva, ha affrontato fra il 1999 e il 2002 una complessa riflessione sul genio femminile, componendo una trilogia su Hannah Arendt, Melanie Klein, Colette: nelle due sradicate nomadi dal pensiero abrasivo e nella scrittrice edonista e sensuale ha individuato un esemplare percorso di costruzione della singolarità. Sottotitolate rispettivamente La vita, La follia, Le parole, le tre anomale biografie della Kristeva (tradotte da Donzelli), rappresentano una sfida per chiunque voglia interrogarsi sull'intellettualità femminile al di fuori di schemi prestabiliti o facili narrazioni.
Ma non meno fertile è un genere di biografia apparentemente più leggero: la donna ordinaria capace però di imprese eccezionali, di conquistare l' ammirazione dei contemporanei, per poi scomparire nell'oblio. Un esempio ne è il godibile Il giro del mondo in bicicletta di Peter Zheutlin (Elliot), dedicato ad Annie "Londonderry" Kopchovski, ebrea lituana emigrata negli Usa che, per dimostrare di cosa fosse capace una donna, a 23 anni inforcò una bicicletta e pedalò da Boston a Parigi, Gerusalemme e Singapore, tra calunnie e disavventure di ogni tipo, ma smascherando i pregiudizi misogini e trionfando alla fine, per proporsi come un esempio vincente della "nuova donna" del futuro.
Talvolta il fenomeno esonda dalle trincee dell'accademia e dell'università per incontrare un vasto successo popolare. È capitato a Ipazia, filosofa e scienziata dell'antichità, che è stata "scoperta" grazie a film, saggi e spettacoli teatrali che le hanno dato una storia. Tra i libri più letti negli Usa c'è oggi Cleopatra: a life, corposa biografia di Stacy Schiff (Little Brown, in uscita per Mondadori). L'autrice aveva vinto il premio Pulitzer con Vera (Fandango), biografia della moglie di Nabokov, donna schiva che attraversò il '900 cercando di far perdere le proprie tracce: una figura antitetica a quella della regina, simbolo di seduzione e potere, resa mitica dal cinema hollywoodiano. Ma a entrambe Schiff ha dedicato un'analoga opera di ricostruzione del personaggio al di là della mistificazione - mai innocente - della memoria, restituendo a Vera l'identità cancellata dalla scelta di vivere all'ombra di un genio e a Cleopatra la personalità affascinante di una donna colta, poliglotta, astuta, politicamente abile, travisata e banalizzata dai vincitori che ne scrissero per primi la vita. Una delle ragioni della fortuna del volume può forse essere rintracciata nell'affermazione della Schiff: "Cleopatra è un modello per le donne indipendenti". Ma è davvero per questo che leggiamo le vite delle altre? Per cercare conferme delle nostre capacità, o possibilità nel mondo? Oppure quelle biografie svolgono, al contrario, una funzione quasi evasiva, consentendo alle lettrici di proiettare sulle esistenze eccentriche, eccessive, liberate di donne straordinarie le frustrazioni e le disillusioni di una condizione ancora insoddisfacente? Forse è legittimo chiederselo, ma non in Italia, dove le biografie di donne straordinarie del mondo classico, o ordinarie del passato prossimo, restano una lettura elitaria. Da noi prevale il filone, che definirei civile, della riscoperta di figure di donne dimenticate o rimosse della storia nazionale. A questo si possono ricondurre volumi di diversa natura o ambizione, come Mai sono stata tranquilla. Vita di Angelica Balabanoff di Amedeo La Mattina (Einaudi), sulla minuscola, controversa e maledetta signora del socialismo europeo, che tanto contribuì all'ascesa di Mussolini, o il collettivo Donne del Risorgimento (Il Mulino), nel quale per il 150° anniversario dell'Unità il battagliero gruppo di scrittrici e giornaliste di Controparola propone una galleria di ritratti delle protagoniste occultate dell'epopea dell'indipendenza - da Cristina di Belgiojoso a Sarah Levi Nathan. Fra i medaglioni, spiccano quello di Enrichetta di Lorenzo di Dacia Maraini e della garibaldina Antonia Masanello di Serena Tagliaventi. Eroine delle barricate, regine dei salotti, banchiere, infermiere o rivoluzionarie, le donne al centro di queste narrazioni sono apparentate dal silenzio - talvolta censorio - che le ha relegate ai margini della memoria collettiva o fuori di essa. In un paese come l'Italia questi libri hanno qualcosa di necessario. Facendo emergere una trama di esistenze tanto più sommerse quanto più furono pubbliche, essi indicano che da noi il silenzio non è stato infranto e la memoria resta frammentaria. Ma finché non avremo ritrovato le tracce e i nomi di quante, con le loro vite ordinarie o straordinarie, tumultuose o segrete, possono delineare una genealogia nuova, la mappa dell'Italia sarà incompleta: qui le vite delle altre servono anche, e forse soprattutto, a far emergere le nostre." (da Melania Mazzucco, Raccontate, donne, la vostra vita o la storia vi dimenticherà, "La Repubblica", 30/04/'11)

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