mercoledì 11 maggio 2011

Cremisi: cari editori non pensate alle tirature


"La signora dell’editoria francese è italiana. Si chiama Teresa Cremisi, ha 65 anni portati benissimo, ha imparato il mestiere alla Garzanti («Lì ho fatto davvero di tutto») e nell’89 è diventata direttrice editoriale di Gallimard, gestendo la superMaison del libro in modo tale da essere soprannominata «il primo ministro». Nel 2005 è passata a Flammarion come Pdg, presidente-direttore generale. Quindi è la persona giusta per parlare dei due eventi di questi giorni: i cent’anni di Gallimard e il Salone del libro di Torino.
A Parigi è stato un problema più essere una donna o essere una donna italiana?
«Una donna assolutamente no, anche se quando ci sono arrivata io, Gallimard era una casa editrice esclusivamente maschile e anche travagliata da una guerra di successione».
E italiana?
«Dopo un po’ se lo dimenticano tutti. Però sono successe anche cose buffe. Qualche mese dopo il mio arrivo, vado a una cena di scrittori. E lì c’è un nipote di Mauriac che si mette a inveire: ma avete sentito, hanno preso un’italiana! Gallimard è finito! È la morte della Nrf! A un certo punto ho dovuto dirglielo: la smetta, quell’italiana sono io».
E lui?
«Il giorno dopo mi ha mandato un gran mazzo di fiori».
Gallimard è ancora la prima casa editrice del mondo?
«Senza dubbio. Basta guardare il catalogo: come se in Italia si sommassero Einaudi e Mondadori. Il 2 gennaio di ogni anno, sai già che il 60% del fatturato arriverà dal catalogo. Per forza: non c’è liceale francese che non debba comprare un libro Gallimard».
Il segreto dov’è?
«Non hanno mai pensato solo al profitto immediato. Negli Anni Trenta, il fondatore, Gaston, lanciava i bestseller per poter pubblicare gli autori che vendevano meno. Se hai Simenon che ti scrive sette libri in un anno, allora puoi pubblicare Cioran che vende 500 copie. Solo che poi le 500 copie continua a venderle per trent’anni».
Il mitico Comitato di lettura com’è?
«È un club di scrittori dove non si parla mai di tirature. Il criterio è: bello o brutto. Mai: venderà o non venderà».
Però hanno fatto errori grossolani, i celebri «ratés» di Gallimard...
«Se pensa che dissero di no a Proust ... Ma Gaston era bravissimo a recuperare gli autori che si era lasciato sfuggire. Con un’eccezione».
Quale?
«Thomas Mann, mai entrato in catalogo».
Il suo raté qual è?
«Si vedrà tra qualche decennio. Forse Houellebecq: non l’abbiamo proprio mancato, ma forse non l’abbiamo cercato abbastanza. Mi consolo: scrive per Flammarion. E lui è uno scrittore che resterà».
Con gli autori l’editore deve usare il bastone o la carota?
«Per i miei autori sono disposta a fare qualsiasi cosa. Del resto, se si chiamano “case” editrici una ragione ci sarà».
Questa casa non è un albergo, dicevano le mamme.
«Per gli scrittori, sì. Hanno il mio cellulare e mi chiamano a ogni ora del giorno e, purtroppo, anche della notte. Siamo arrivati a trovare loro il dentista o il veterinario».
Le principali qualità dell’editore?
«Precisione, pazienza, prudenza».
La P3. Come si sceglie un libro?
«Non bisogna avere un’idea romantica. Ci si innamora di un libro all’anno, massimo due. Il resto è tecnica».
Che differenza c’è tra il mercato francese e quello italiano?
«In Francia, trent’anni fa Mitterrand fece la legge sul prezzo unico del libro, che ha salvato le piccole librerie. E poi c’è una specie di venerazione per la pagina scritta. Se dico a un francese che mio nipote fa lo scrittore, lui mi fa i complimenti. Se lo dico a un italiano, mi dice: poveretto».

Perché in Italia non si legge?
«Si legge meno, ma non è vero che non si legge. Prenda l’Adelphi. Pubblica dei libri raffinatissimi che in Italia vendono diecimila copie e in Francia duemila».
E perché non leggono i giovani?
«Non è vero nemmeno questo. Mai nella storia, da parte loro, c’è stata altrettanta disponibilità a ingurgitare libroni giganteschi come gli Harry Potter».
I saloni del libro hanno ancora senso?
«Certo. Da un lato, sono delle maxilibrerie dove trovi tutto quello che c’è. Dall’altro, un luogo d’incontro per professionisti. Aggiungo che agli editori partecipare costa poco».
Meglio il Salone di Torino o il Salon di Parigi?
«Non c’è una grande differenza. Come livello, sono pari».
Di quale politico pubblicherebbe volentieri l’autobiografia?
«Italiano? Non mi sembra che abbiano vite molto interessanti».
Nemmeno Berlusconi?
«Se raccontasse tutto, sì».
Quale autore porterebbe via da Gallimard?
«Senza dubbio Philip Roth».
Perché?
«Perché sta all’America come Balzac alla Francia»." (Alberto Mattioli, Cremisi: cari editori non pensate alle tirature, "La Stampa", 11/05/'11)

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