lunedì 6 marzo 2017

I libri diventano un best seller con quattromila copie



"Classifica di «Tuttolibri». Due titoli al primo posto ex aequo. Il reportage di Friedman sull’America inquieta che ha votato Trump. E Qualcosa di Chiara Gamberale. La rabbia e la favola, in testa, insieme. Ma la notizia è un’altra. E non è buona.

Per la prima volta, da cinque anni, i battistrada dei best seller hanno venduto meno di cinquemila copie in una settimana, 4350, per l’esattezza. È vero che il mese di febbraio non è granché. E che gli italiani hanno un rapporto non felice con la lettura (metà del nostro popolo di poeti preferisce voltarsi dall’altra parte quando vede una parola scritta sulla carta). Ma queste cifre miserande sono una suoneria d’allarme. Anche perché il grande buio della crisi dei consumi sembra alle spalle. E l’anno scorso il mercato librario ha registrato un (timido) segno più.

Le nostre classifiche, stilate dalla Nielsen, registrano solo le vendite in libreria. Gli altri canali restano fuori. Mancano soprattutto i dati di Amazon, che se li tiene ben segreti, ed è un golia dell’e-commerce. Gamberale & Friedman, dunque, potrebbero aver venduto anche il doppio, o forse più, rispetto a quanto registrato dal nostro sismografo statistico. Eppure, se anche così fosse, una piccola scossa di terremoto nella terra dei libri c’è stata. Meglio non sottovalutarla. Né consolarsi con la gran vitalità che serpeggia nei Festival letterari, come sta dimostrando il Salone di Torino rinnovato che marcia come un treno.

Colpe ne hanno gli editori, soprattutto i grandi, che ci inondano di novità. E la quantità, si sa, soffoca la qualità. O quantomeno accorcia mostruosamente la vita media di un libro. Diminuire le uscite di volumi candidati a poche vendite (davvero pochissime, spesso nemmeno i fratelli o la zia dell’autore stesso, comprano la consueta copia di cortesia), che intasano gli scaffali, i magazzini, e concludono la loro mesta esistenza nella «solitudine troppo rumorosa» del macero (copyright Bohumil Hrabal), sarebbe un primo passo, serio, per aiutare un mercato sano.

I librai, dal canto loro, devono tornare ad essere librai. Ovvero punto di riferimento per i lettori. Con consigli, tisane, bussole, amache. La stragrande maggioranza delle piccole librerie indipendenti svolge un ruolo prezioso. Non sempre, le grandi catene. Una scena esemplare con commesso fisiognomicamente interinale - vista direttamente - dice tutto. La cliente: «Avete la Vita nova di Dante?». «Non mi risulta in catalogo», risponde lui pestando i tasti del computer. «Accidenti, nessuna edizione?». «No, mi spiace. Se vuole c’è una Vita nova, però è di un altro, che si chiama Alighieri».

Le biblioteche pubbliche funzionano egregiamente. In tutta Italia. Da Settimo, a Modena, a Catania. Anche se fanno salti mortali con i bilanci tagliati da patti di stabilità ottusamente algebrici. Sono sempre meno polverose nell’aspetto. Ma devono diventare ancor più luoghi misti di cultura e svago, come avviene nei (soliti) Paesi nordici, dove insieme all’incunabolo coesiste l’addio al nubilato. Tenendo ovviamente conto delle ontologiche diversità tra aspirante sposa e Enneadi di Plotino.

Amazon è comodissimo. Spedisce libri in tempo poco più che reale in zone d’Italia dove di librerie non esiste manco l’idea. Ma il suo strapotere cannibalizza il mercato, elimina giustamente gli incapaci, mette però in difficoltà i librai indipendenti. E questo è meno giusto, perché sono loro il primo motore non immobile della buona lettura.

I lettori, e soprattutto quelli forti, sono una tribù ristretta. Come i Sioux all’arrivo della ferrovia. Ma non demordono, sono vivaci, digitalmente corretti, esigenti, intraprendenti. Un fenomeno come Moduslegendi lo dimostra. La community di bibliomani che sceglie testi da acquistare tutti insieme, in un garbato flashmob, per aiutare i piccoli, funziona meglio di un esperto di marketing ed è capace di portare addirittura in top ten autori di nicchia come Claudio Morandini (la scorsa settimana) e Annie Ernaux (l’anno scorso).

La scuola fa quel che può (mica tanto), i benemeriti «bonus» cultura sarebbero da spingere più della deducibilità degli interessi sul mutuo, e sarebbe bello vedere un Oscar o un adelphino sul palco di Sanremo per far passare il messaggio che leggere è bello quanto cantare, perché mica tutti lo sanno. E la lettura viene data per scontata, scordando che anche quel gesto silenzioso, caparbio, l’unico davvero solitario nel frastuono digitale, richiede allenamento come il CrossFit.
I libri sono creature tanto forti quanto fragili. Un’ecosistema delicato che risente, come le api, di un mondo inquinato dalla rozzezza, dal qualunquismo, dall’indifferenza. (Qualità ben diffuse nell’oggi). Per preservarlo servono idee. Ma anche e soprattutto regole, leggi, denari, aiuti fiscali. E qui occorre la politica. Che finora, però, ha brillato più nel litigio che nella lettura." (da Bruno Ventavoli, I libri diventano un best seller con 4 mila copie, "La Stampa", 04/03/2017)

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