mercoledì 15 febbraio 2012

Manuzio, l’uomo che inventò il bestseller


"Dopo aver letto l’iperdocumentato e affascinante L’alba dei libri (Garzanti) di Alessandro Marzo Magno, è stato inevitabile mettere le mani in biblioteca, nello scaffale dei libri antichi. E trarvi un «reperto» dei tanti evocati in questo nuovo libro sull’incunabolo europeo dell’editoria che ebbe il proprio siderale stupefacente cortocircuito a Venezia, nel XVI secolo.
Il reperto è Rime del commendatore Annibal Caro. Sul frontespizio, sotto al titolo, la sigla «editoriale» un’àncora avviticchiata da un delfino - e poi «in Venetia appresso Aldo Manutio MDLXIX». Aldo Manuzio è il dominus che ha dato il tono all’editoria, dal suo tempo fino a oggi. In memoria dell’ascendenza laziale - venne al mondo a Bassiano nel ducato di Sermoneta - firmava Aldo Romano. È celebrato come Aldus. Non era uno stampatore tout court, come usava allora. Sceglieva personalmente le opere che sarebbero uscite dalla sua officina. Ponderava con attenzione lo scartafaccio manoscritto da trasformare in libro. Poteva essere un «ravatto» o un testo colossale che, diffuso, avrebbe mutato la maniera di intendere la vita, il mondo, l’universo. Lui guardava con un occhio sapiente alla qualità; però con l’altro alla bottega. Sapeva coniugare la «bellezza» con il mercato. Nel 1499 stampò il più splendido ed esclusivo libro mai visto. Dovuto a Francesco Colonna, con xilografie di estraniante armonia, era il mitico Hypnerotomachia Poliphili, nutrito di struggente misteriosofia ed esoterico erotismo. Acquistato allora da raffinati lettori - magari Federico Gonzaga, Isabella d’Este, Lucrezia Borgia, Leone X - oggi è una leggenda tra i bibliofili.
Manuzio fu anche il primo a pubblicare un best seller. All’inizio del Cinquecento delle opere di Petrarca - morto da un secolo e mezzo - Aldus stampò e vendette centomila copie. Per la sua officina girava gente come Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam e Pietro Bembo, quasi un «proto»: suggerì all’editore una regola sull’uso della punteggiatura. Nacque il punto e virgola. E per buon peso l’apostrofo e gli accenti. Di suo Manuzio inventò il carattere corsivo. Ancora oggi gli inglesi lo chiamano italic. Ed è probabilmente sempre Manuzio il primo a produrre pocket book. Stampò volumi piccoli, più «dominabili». Per magari recarne sempre uno con sé. Libri fino a quel momento «oggetto» di biblioteca, di studio e preghiera. Forse proprio a Manuzio dobbiamo il piacere della lettura.
Quest’uomo, ricordato da Erasmo nel suo Elogio della follia - «Le grammatiche sono numerose quante i grammatici, anzi più numerose (il mio amico Aldo Manuzio ne ha pubblicate cinque lui solo)» - era al centro del centro d’una delle più straordinarie avventure dell’uomo: la nascita del libro e la sua diffusione. Da quando, attorno al 1450, a Magonza, Gutenberg realizzò le 154 copie del primo libro a stampa - la celebrata Bibbia delle 42 linee - una metastasi di volumi, di varia umanità, intricata a ogni tentacolo dello scibile umano, slavinò per il mondo. Nel solo XVI secolo, la «novità», il libro a stampa, si produsse in oltre 35 milioni di copie. La «smania» di comporre e imprimere, assemblare e legare, toccò uno dei suoi vertici tra il 1526 e il 1550. E fu Venezia con la pletora delle sue stamperie ad averne il primato. Sulla laguna si pubblicavano i tre quarti delle edizioni impresse in Italia; e la metà di quelle prodotte in Europa. Prendeva allora campo la cura editoriale. Un’attenzione ancora specificatamente veneziana.
Per facilitare la lettura vennero apportate al libro le tavole dei contenuti, gli indici, le note a margine. Venezia impose al mondo il business del libro e una nuova parola si aggiunse al lessico: editore, colui che investe nella produzione delle opere a stampa. E si aprì il «dibattito»: quello che l’oggetto libro propone con la sua mobilissima, contraddittoria e dirompente carica di umanità e cultura. Come si «produceva», da subito, e come sempre, c’era tuttavia chi si preoccupava di distruggere. Mentre dalle stamperie veneziane uscivano sempre nuovi volumi, e con i volumi nuove idee, in un solo giorno, il 18 marzo 1559, in piazza San Marco, per ordine dell’Inquisizione, le fiamme divorarono dodicimila volumi. Il rogo dei libri. Una «cerimonia» che lungo il corso dei secoli sarebbe stata messa in scena ancora un bel mucchio di volte." (da Giuseppe Marcenaro, Manuzio, L’uomo che inventò il bestseller, "La Stampa", 15/02/'12)

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