mercoledì 29 febbraio 2012

Leggere può cambiare la vita: la preziosa inutilità di libri che alimentano la speranza


"L'incontro con un classico può provocare una metamorfosi o, addirittura, può cambiare la vita. Basta scorrere le biografie o le autobiografie di scrittori e di filosofi, di poeti e di scienziati per trovarne testimonianza. Non si tratta però di un'esperienza riservata solo a persone eccezionali. La lettura di una poesia o di un romanzo può incidere segni profondi in qualsiasi lettore appassionato, pronto a lasciarsi infiammare dalle scintille che si sprigionano nel dialogo con un testo letterario o filosofico.
La lodevole iniziativa del «Corriere della Sera», di riproporre per un vasto pubblico una serie di testi latini e greci, si colloca in un momento difficile per la sopravvivenza dei classici. Negli ultimi decenni, purtroppo, gloriose collane hanno chiuso i battenti: si pensi, solo per fare qualche esempio, ai preziosi volumi della Ricciardi e della Utet, degli Scrittori d'Italia Laterza e dei classici Mondadori. Senza contare che, molto spesso, le opere esaurite di grandi autori non vengono più ristampate. Il mercato editoriale, invece, privilegia ormai la cosiddetta letteratura secondaria. La moltiplicazione dei manuali, dei bignamini, dei commenti, dei riassunti, delle antologie provoca un pericoloso paradosso: gli studenti, nelle scuole e nelle università, sentono parlare di opere che non hanno mai letto per intero o, nel peggiore dei casi, che non hanno mai avuto tra le mani. Sarà difficile, in questo contesto, che un amore improvviso possa nascere per Dante o per Lucrezio, per Cervantes o per Shakespeare.
Ma c'è di più. Assistiamo da decenni, come ha recentemente ricordato anche la filosofa americana Martha Nussbaum, al progressivo depotenziamento di tutte le discipline umanistiche che, su scala planetaria, vengono considerate «inutili», vengono marginalizzate non solo nei programmi scolastici, ma soprattutto nelle voci dei bilanci statali e nelle risorse di enti privati e di fondazioni. Perché impegnare denaro in un ambito condannato a non produrre profitto? Perché destinare fondi a saperi che non apportano una rapida e tangibile utilità economica?
All'interno di questo contesto, fondato esclusivamente sulla necessità di pesare e misurare in base a criteri che privilegiano la quantitas, la letteratura e i classici (ma lo stesso discorso potrebbe valere per altri saperi umanistici) possono invece assumere una funzione fondamentale, importantissima: proprio il loro essere immuni da qualsiasi aspirazione al profitto potrebbe porsi, di per sé, come forma di resistenza agli egoismi del presente, come antidoto alla dittatura dell'utilitarismo che è arrivata perfino a corrompere le nostre relazioni sociali e i nostri affetti più intimi. L'esistenza stessa della letteratura e dei classici, infatti, richiama l'attenzione sulla «gratuità» e sul «disinteresse», valori ormai considerati controcorrente e fuori moda.
A questo proposito mi sembra illuminante un passaggio di un discorso che David Foster Wallace tenne il 21 maggio del 2005 ai laureandi di Kenyon College, negli Stati Uniti. Lo scrittore — morto nel 2008, a 46 anni — si rivolge agli studenti raccontando una breve storiella che riesce a esemplificare in maniera egregia il ruolo e la funzione della cultura umanistica. Foster Wallace immagina l'incontro in un acquario tra due pesci giovani e un pesce anziano. Quest'ultimo rivolge una domanda ai suoi casuali interlocutori: «Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?». «I due pesci giovani — scrive Foster Wallace — nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa: Che cavolo è l'acqua?».
È lo stesso Foster Wallace a fornirci la chiave di lettura del suo racconto: «Il succo della storiella dei pesci — spiega lo scrittore americano — è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire e da discutere». Come i due pesci più giovani, noi non ci rendiamo conto di che cosa sia veramente l'«acqua» nella quale viviamo ogni minuto della nostra esistenza. Non ci rendiamo conto, infatti, che la letteratura e i saperi umanistici, che la cultura e l'insegnamento costituiscono il liquido amniotico ideale in cui le idee di democrazia, di libertà, di uguaglianza, di diritto alla critica, di laicità, di giustizia, di tolleranza, di solidarietà, di bene comune, possono trovare un vigoroso sviluppo.
L'elogio dell'utile inutilità della letteratura e dei classici non deve però trarre in inganno. Non si tratta di ricreare la contrapposizione tra saperi umanistici e saperi scientifici. Al contrario: nella consapevolezza dei distinti ruoli, anche la scienza ha occupato e occupa un posto importante nella battaglia contro le leggi del mercato e del guadagno. È risaputo come da lavori scientifici considerati apparentemente inutili, non finalizzati cioè a un preciso scopo pratico, sia poi derivata un'inattesa utilità. Sarebbero state impensabili le invenzioni di Guglielmo Marconi senza gli studi sulle onde elettromagnetiche di James Clerk Maxwell e di Heinrich Rudolf Hertz: studi ispirati esclusivamente dal bisogno di soddisfare curiosità teoriche. Del resto, come ha suggerito egregiamente Abraham Flexner, scienziati del calibro di Galileo, di Bacone o di Newton hanno coltivato le loro curiosità, producendo grandi rivoluzioni, senza essere ossessionati dall'utile e dal profitto.
Certo, anche i classici — lo ricordava Italo Calvino — non si leggono perché debbono servire a qualcosa: si leggono solo per la gioia di leggerli, per l'esclusivo desiderio di conoscere. A tal proposito, lo scrittore romeno Emile Cioran — ispirato probabilmente dall'Apologia e dal Simposio: due opere di Platone presenti nella collana del «Corriere della Sera» — racconta che Socrate, mentre gli preparavano la cicuta, si esercitava sul flauto per imparare un'aria. E alla domanda «A cosa ti servirà?», il filosofo impassibile risponde: «A sapere quest'aria prima di morire». Ma — nonostante la consapevolezza che qualsiasi creazione letteraria o artistica non è legata a un fine — non c'è dubbio che, nell'inverno della coscienza che stiamo vivendo, alla letteratura e ai saperi umanistici, a quei lussi ritenuti inutili, spetti sempre più il compito di alimentare la speranza, di trasformare la loro inutilità in un utilissimo strumento di opposizione alla barbarie del presente, in un immenso granaio dove preservare la memoria e quegli avvenimenti ingiustamente destinati all'oblio." (da Nuccio Ordine, Leggere può cambiare la vita: la preziosa inutilità di libri che alimentano la speranza. Quelle opere sono per noi come l'acqua per i pesci, "Corriere della Sera", 29/02/'12)

Non per profitto di Martha Nussbaum

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