domenica 24 luglio 2011

Quell'odio profetico dei noir scandinavi


"Gli indizi che annunciavano l'imminenza di un massacro erano sotto gli occhi di tutti. Non nella realtà, ma nella sua alternativa più tollerabile: la letteratura. Da alcuni anni le librerie di tutto il mondo sono state invase da noir scandinavi. Dopo il clamoroso successo del primo volume della trilogia di Stieg Larsson, Uomini che odiano le donne, c'è stato il boom dei thriller svedesi, norvegesi, perfino islandesi: tutto funziona purché si svolga sotto il sole di mezzanotte, per almeno quattrocento pagine, evocando (attenzione) un oscuro passato ideologico che passato non è mai. Accadeva nel primo volume di Millenium. Accade in molti gialli dell'islandese Arnaldur Indridason. La preparazione di un attentato di matrice neonazista è al centro di Falso bersaglio dello svedese Dahl Arne. L'elenco potrebbe continuare. Ma il punto non è completarlo né individuare il romanzo nordico che più di ogni altro aveva prefigurato la tragedia di Oslo e Utoya. È, in generale, la vocazione rabdomantica della letteratura a uscirne confermata e rafforzata. Restiamo al caso particolare: la Norvegia, Oslo. L'ultima volta che ci sono stato mi ha impresso un ricordo idilliaco: in un giorno di sole sfolgorante si prendeva la metropolitana, come era solito fare perfino il re, per andare (al capolinea) a sciare di fondo. La gente era riservata e cortese, tutto appariva costoso eppure accessibile per chiunque, o quasi. Tolleranza, integrazione, libertà di comportamenti parevano cose talmente assimilate da non dover più essere esibite o sostenute. Eppure. Eppure bastava abbassare gli occhi sulle pagine di uno dei libri ambientati proprio lì per trovarsi in un mondo completamente diverso. La Norvegia è probabilmente l'unico Paese al mondo ad aver avuto un ministro della Giustizia autore di noir di successo: Anne Holt, che scriveva già prima, ma dopo aver lasciato la carica ha firmato il best seller Quello che ti meriti. Quando si cerca di individuare l'ingrediente chiave del trionfo globale ottenuto dal suo e dagli altri libri simili non è tanto all'originalità dei personaggi o delle trame che si fa riferimento. Ricorre, piuttosto, una parola: atmosfera. A renderla efficace è il contrasto. La superficie è bianca; quel che si muove sotto è nero. Il presente è socialdemocratico, multiculturalista, assistenzialista; il passato è filonazista, nazionalista, classista. Il Museo dei Nobel per la pace è una pietra sull' universale istinto di violenza. Il lettore prova un brivido di rassicurazione: nessuno ha saputo costruire ripari. Neppure i compassionevoli e attenti legislatori e pubblici amministratori norvegesi. La funzione della letteratura noir è spesso questa: sporcare le illusioni. Se possibile, ammazzarle. Ne sono state vittime le decadenti democrazie d'Europa e il sogno americano. Un accorgimento non secondario dei totalitarismi è evitare la proliferazione di un simile genere romanzesco che rivela malesseri individuali e sociali, scheletri negli armadi e follie nei cassetti, malattie non curate pronte alla recidiva. Nel liberalismo scandinavo questo è stato ampiamente raccontato: sono state rivelate città sotterranee dove giacciono gli orridi residui di falliti esperimenti genetici, messe a nudo le dinamiche incestuose e omicidiarie di quel primo nucleo sociale che è la famiglia, accertato che non soltanto il re, anche il popolo è nudo, con un coltello in mano. Per le strade di città semideserte si aggirano alla ricerca di verità devastanti investigatori carichi di malinconia, entrando e uscendo da posti puliti poco e illuminati peggio. Riga dopo riga quel che stanno componendo è una straordinaria profezia collettiva destinata ad autoavverarsi. La coppia di detective di Anne Holt, il Gruppo A di Dahl Arne, il giornalista di Larsson (suo alter ego) puntano tutti nella stessa direzione. L'isola in cui quest'ultimo affronta il suo primo caso è l'equivalente letterario della Utoya insanguinata della cronaca. L'ombra dei gruppi nazisti che Larsson aveva tanto studiato da giornalista e contro cui ha invano messo in guardia è onnipresente. Non come ripetizione di un cliché letterario, come avvertimento. C' è un romanzo norvegese, non noir ma cupo, intitolato La modella (Guanda), scritto da Saabye Lars Christensen. A un certo punto della storia l'irascibile protagonista va in teatro, dove la moglie sta curando l'allestimento scenografico di un lavoro di Ibsen. Lei è molto fiera di una sua trovata: ha fatto dipingere di rosso il muro alle spalle degli attori sul palco. Lui osserva perplesso, poi dice: «Non è eccessivo? Manca solo che tu appenda un cartello con su scritto: qui sta per accadere qualcosa di terribile». Ecco: la letteratura nordica degli ultimi anni è stata quel muro rosso. Ma abbiamo continuato a pensare che fosse il fondale di un palco dove si recitava e poi tutti tornavano a casa, felici e assistiti." (da Gabriele romagnoli, Quell'odio profetico dei noir scandinavi, "La Repubblica", 24/07/'11)

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