venerdì 31 agosto 2007

CALVINO: "Il massimo tempo della mia vita l'ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei"








Incontro con Italo Calvino
(da InternetCulturale)

Pietro Citati scrive a proposito di Calvino: "[...] Provava diffidenza per i sentimenti. In quel gran 'guazzabuglio' del cuore umano, c'era qualcosa che poteva colpirlo e ferirlo, - lui così tenero e talvolta indifeso. Sono certo che, qualche volta, abbia pensato di sostituire il cuore - quest'organo grossolano - con un altro organo, che avrebbe trovato nelle sue ingegnose investigazioni: non meno ardente e puro, - ma cristallino come una verità matematica. [...] Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui, appartenevano già a un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. Giunse a baciare mia moglie sulla guancia - come di rado quelle astratte e avare guance liguri si erano piegate sulla guancia di un'amica! Andai a dormire pieno di gioia. [...]" (da: P. Citati, La cività letteraria europea)
Da I migliori anni della nostra vita di Ernesto Ferrero: " [...] Il Calvino che lavora in via Biancamano è, al pari del suo maestro Pavese, un gran lavoratore. L’etica del lavoro ben fatto gli viene dai genitori, severi socialisti umanitari di vecchio stampo. Per lui il senso di tutto è il lavoro. Il lavoro – dice – è qualcosa che ci mette in comunicazione con gli altri. Tu puoi anche morire, ma gli oggetti che tu hai costruito o prodotto vivranno nell’uso che ne faranno altre persone. [...] Diceva: la letteratura deve evitare ogni attitudine pedagogica e divulgativa; il suo peso politico è modesto, forse nullo, al massimo può avere l’effetto di alzare il livello di consapevolezza generale; con i buoni sentimenti non si costruisce niente; l’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono. [...] Era brusco, Calvino, di poche parole. Per timidezza, per l’abitudine al silenzio che gli veniva dagli avi, forse il riflesso difensivo nei confronti di un padre e di una madre autoritari, che sarebbe stato vano contrastare. L’aveva scritto lui stesso: la parola è una cosa gonfia, molle, un po’ schifosa, mentre ogni tipo di comunicazione dovrebbe essere improntato a un massimo di precisione, d’economicità. Nella primavera del 1984 Calvino è a Siviglia con la moglie Chichita, argentina di nascita. In un albergo della città Jorge Luis Borges, cieco da tempo, incontra alcuni amici. Arrivano anche i Calvino. Mentre Chichita conversa amabilmente con il connazionale, Italo si tiene come al solito in disparte, tanto che lei ritiene opportuno avvertire: 'Borges, c'è anche Italo ...'. Appoggiato al bastone Borges solleva in alto il mento e dice quietamente: 'L'ho riconosciuto dal silenzio'. [...]".

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