mercoledì 27 maggio 2015

Mio figlio è dipendente dai videogiochi


"In un mondo iperconnesso, bambini e adolescenti trascorrono la maggior parte della giornata tra smartphone, computer e videogiochi. Rischiando una dipendenza da tecnologia che può sconfinare in diversi disturbi: dall'isolamento all'aggressività, fino all'ansia e alla depressione. Con conseguenze negative su attenzione, controllo degli impulsi, tolleranza alla frustrazione. Ecco il parere dell'esperta su questo fenomeno, con alcuni consigli per riscoprire l'importanza del gioco, della socialità e della compagnia.

Dopo anni di ricerche sugli effetti negativi causati dai videogiochi, i risultati rimangono controversi, nonostante l’aumento degli interventi per il trattamento della dipendenza da tecnologia nei giovanissimi. Una recente ricerca della Radboud University in Olanda documenta i benefici sperimentati dai bambini e adolescenti utilizzatori di giochi interattivi sul piano cognitivo, emotivo e mentale. Ma la letteratura abbonda di studi che dimostrano tutt’altro. La preoccupazione si concentra sulla possibilità di dipendenza e sull’esposizione alla violenza. Non mancano poi correlazioni con disturbi del sonno, isolamento, aggressività, obesità, ansia e depressione. E conseguenze negative su attenzione, controllo degli impulsi, tolleranza alla frustrazione. Ciò di cui si parla meno forse è che giocare su uno schermo (cellulare, tablet o consolle) è da considerarsi fattore di stress psicologico con effetti fisiologici di una certa entità come variazioni della frequenza cardiaca, della pressione, dei livelli di noradrenalina e cortisolo (ormone dello stress), alterazioni dello zucchero nel sangue, ritardo nella digestione. È correlato anche a una maggiore assunzione di cibo negli adolescenti, a una diminuzione della precisione, alla sindrome metabolica (ipertensione, obesità) negli adolescenti indipendentemente da inattività fisica.
Secondo un’indagine condotta in Italia da Peter Pan onlus, conclusa a febbraio, un bambino su tre tra gli 11 e i 13 anni soffre di ansia e di sintomi neurovegetativi per l’uso di videogiochi violenti. E una ricerca del 2014 dell'Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO), fatta su studenti dai 10 ai 19 anni, ha rilevato che il 75% degli adolescenti gioca ai videogiochi on line e in buona parte lo fa da solo. Il 40% imita personaggi negativi, uno su tre non sopporta la sconfitta e l'85% predilige giochi ''distruggi tutto" e altri più aggressivi. Le raccomandazioni da parte delle organizzazioni scientifiche di pediatri sono di limitare la quantità di tempo totale dell’intrattenimento con gli schermi a meno di due ore al giorno, evitare le esposizioni ai bambini sotto ai due anni, e controllarne i contenuti, spesso inadatti all’età dei giocatori.
Ma comunemente il tempo dello schermo per i bambini e ragazzi è ben altro. Tv, smartphone, computer, tablet, social media e videogiochi hanno invaso la loro giornata. Più di qualunque altra attività. Forse è proprio questo l’aspetto sul quale concentrarsi. Sullo spazio, il coinvolgimento, la pervasività di questa esperienza nella loro vita. E nella nostra, perché siamo noi adulti i primi a dare esempio. Non sono i videogiochi in sé ad essere buoni o cattivi. Però quando i bambini trovano noiose le attività senza schermo è un segnale di allarme: probabilmente si sono abituati a un livello innaturale di stimolazione. Così come quando preferiscono il video in solitaria alla compagnia di coetanei.
Il gioco o qualunque altra attività sullo schermo è un tempo sottratto a esperienze reali, a interazioni sociali, al gioco libero e spontaneo, alla possibilità di muoversi, esprimersi secondo modalità non programmate. Numerosi studi condotti negli Usa dimostrano che gli adolescenti che nell'infanzia non hanno avuto modo di sperimentare liberamente giochi di gruppo e di movimento con i coetanei sono più ansiosi, depressi e meno autonomi.
È di questi giorni l’uscita in Italia del saggio di Peter Gray, psicologo e biologo al Boston College Lasciateli giocare (Einaudi), già best seller negli Stati Uniti, dove questi concetti sono sviscerati. Per diventare creativi e affrontare la vita con coraggio non si ha bisogno di tastiere, video e playstation ma di gioco libero tra coetanei. Anche la disciplina rigida scolastica non aiuta. Le sue ricerche dimostrano il progressivo precipitare nella banalità degli indici di creatività dei ragazzi americani, sempre più depressi e aggressivi. Riscontri che dovrebbero indurre a rivedere i modelli educativi moderni.
Offrire esperienze ai nostri figli, allargarle ma non approfondirle, sta diventando la norma nel nostro vivere iperconnesso. Nel mondo cibernetico di oggi, i bambini sono esposti a messaggi che insegnano apatia, non empatia. La connessione intima, autentica sta diventando sempre più difficile. Instaurano rapporti numerosi, estesi, fatti di rapidi e brevi scambi a scapito di profondità e intensità. Sono sedotti da una miriade di semplificazioni, gratificazioni immediate con click dispensatori di dopamina, ma rischiano di privarsi della possibilità di costruire legami attraverso i quali imparare a essere pienamente presenti all’altro, acquisire fiducia, comprensione, profondo senso di connessione. A impegnarsi. Giocare guardandosi negli occhi. Per questo il tempo dei videogiochi per i bambini andrebbe confinato tra esperienze creative reali. Gli esseri umani sono programmati per la socialità e la compagnia, l'affetto e l'attaccamento. Come genitori, dobbiamo lavorare per mostrare ai nostri figli il valore di queste risorse." (da Brunella Gasperini, Mio figlio è dipendente dai videogiochi, "DLaRepubblica", 25/05/'15)

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