sabato 14 dicembre 2013

Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi



"Il 1 giugno 2009 il volo Air France 447 da Rio de Janeiro a Parigi si inabissò nell'Atlantico portando con sé 228 vite. Solo nel 2012 fu recuperata la scatola nera che svelò la sorprendente causa della caduta: i piloti dell'Airbus 330 avevano perso il controllo dell'aereo per eccessiva fiducia nel computer di bordo che, ingannato dal blocco dei sensori della velocità e dell'inclinazione dell'aereo, segnalava pericolo di stallo proprio quando i piloti iniziavano a fare la manovra giusta per evitarlo (abbassare il muso dell'aereo). Confusi e incapaci di opporsi alle indicazioni del computer, i piloti hanno finito per far cadere l'Airbus nell'oceano. Se invece si fossero fidati del loro istinto, l'avrebbero riportato tranquillamente a Parigi.
Il caso dell'AF447 è stato il più tragico dei quasi novemila incidenti simili presi in considerazione dall'americana Federal Aviation Administration in un rapporto riservato, filtrato però qualche settimnaa fa sui giornali. La conclusione di questo rapporto è che i piloti stanno diventando ''troppo dipendenti ndalla tecnologia informatica'' e che occorre quindi riaddestrarli a contare più su se stessi e meno sui supporti digitali.
Qualche anno fa Manfred Spitzer, docente di psichiatria dell'Università di Ulm, ha vissuto una versione terrestre di questo fenomeno. ''Ero a San Francisco per lavoro e mi spostavo per la città in auto usando un navigatore satellitare'' racconta. ''Un giorno mi fu rubato ma, visto che avevo fatto quei percorsi tante volte, ero sicuro di potermi orientare da solo. Invece mi persi e solo allora mi resi conto che, affidandomi al gps, avevo compromesso la capacità del cervello di prendere nota dei punti di riferimento, come avrebbe fatto se avessi usato la cartina''.
Altri avrebbero archiviato l'incidente con un'alzata di spalle ma non Spitzer che riflettendo sull'effetto delle tecnologie informatiche sul cervello, da alcuni anni conduce in Germania una vera crociata mediatica e politica contro la diffusione indiscriminata delle tecnologie, culminata con la pubblicazione di un saggio dal titolo inequivocabile Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi (Corbaccio).
I dati da cui parte Spitzer sono in effetti allarmanti: negli Stati Uniti i ragazzi fra 8 e 18 anni passano ormai in media 7,5 ore davanti a uno schermo, più che a scuola o a dormire. In Italia secondo l'Undicesimo rapporto Censis sulla comunicazione, il 12,5% dei giovani tra 14 e 29 anni usa i media digitali per piu' di 6 ore al giorno e un altro 15% è fra le 3 e le 6 ore).
''Usare continuamente computer o smartphone'' spiega Spitzer ''ostacola lo sviluppo e il mantenimento di capacità come la memoria, l'autocontrollo, la concentrazione, la socialità che possono rafforzarsi solo interagendo con il mondo reale. E non si dica che i media digitali aiutano l'apprendimento: molti studi dimostrano che l'introduzione a scuola di computer, tablet o lavagne elettroniche non poorta a un miglioramento nelle competenze degli studenti. L'idea poi di utilizzare i media digitali anche per l'educazione e l'intrattenimento di bambini in età prescolare può sfociare in un disastro: a quell'età lo sviluppo cerebrale passa attraverso la manulità, i giochi collettivi, l'attività fisica, il canto e il disegno''. Spitzer esagera? Pare di no. Basta vedere cosa succede in Corea del sud, Paese che, per l'elevatissima penetrazione di media digitali (il 67% dei giovani coreani possiede uno smartphone e il 18% di loro lo usa per oltre 7 ore al giorno), sta diventano una sorta di vetrina, nel bene e nel male, del mondo informatizzato prossimo venturo. In Corea l'espressione ''demenza digitale'' viene usata già dal 2007 per i casi di estrema dipendenza da Internet, disturbo che, a vari gradi di gravità, riguarda il 12% degli studenti. Ma anche in questo quadro, lo scorso agosto ha fatto scalpore il caso di un quindicenne ricoverato in un reparto di neuropsichiatria di Seul con un nuovo tipo di ''demenza digitale'' molto simile a quella temuta da Spitzer. Il ragazzo non riusciva più a concentrarsi a lungo, né a ricordare nozioni scolastiche o anche semplici informazioni, come il pin per aprire il portone di casa. Secondo i medici l'eccessivo uso di dispositivi elettronici aveva atrofizzato la sua capacità di passare i ricordi dalla memoria di lavoro a quella di lungo termine. [...]" (da Alex Saragosa, Dementi digitali, "Il Venerdì di Repubblica", 13/12/2013)



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