lunedì 11 giugno 2012

L'infinito cercare

"Vent’anni al mitico Istituto di Princeton che ospitò Einstein e Goedel, varie stagioni al Cern di Ginevra, una legislatura al Parlamento europeo, soggiorni di ricerca negli Stati Uniti, Russia, Giappone. Sempre con uno sguardo geniale e matematico puntato a indagare l’estremamente piccolo dell’atomo e l’estremamente grande delle galassie. Questo è Tullio Regge. L’universo è stato la sua casa, e ora la sua vita, 81 anni, è consegnata a una piacevolissima autobiografia scritta con Stefano Sandrelli, astronomo dell’Osservatorio di Brera ma anche narratore e abile comunicatore della scienza, L’infinito cercare. «Non è il titolo che avrei voluto», dice Regge sfogliando distrattamente il volume che Einaudi sta per mandare in libreria. «Con Rosanna, mia moglie, avevamo pensato a L’orizzonte degli eventi: sa, quel posto strano intorno a un buco nero, dove il tempo si ferma sull’orlo del pozzo gravitazionale». L’orizzonte degli eventi di Regge ora è la vetrata che inquadra il verde della collina di Torino: un salone con pianoforte, libreria, un telescopio di ottone firmato da una storica azienda ottica torinese che non esiste più. Comunque sia, perfetto è il sottotitolo, «Autobiografia di un curioso». Curioso è anche il Regge lettore, che infatti un giorno sentì il bisogno di penetrare nel libro dei libri, la Bibbia, e per farlo imparò l’ebraico, divertendosi poi a rilevare le discrepanze tra il testo originale e la sua vulgata, per esempio nell’episodio delle due spie di Josuha che vanno a Gerico e vengono ospitate da una prostituta, parola di solito occultata in un eufemismo. «Ho letto la Bibbia – racconta – per stupire gli amici con qualche parola in ebraico antico. E’ un’opera che contiene tutto e il contrario di tutto. Probabilmente la portò in casa mio padre, che comprava un sacco di libri usati sulle bancarelle di piazza Carlo Felice e del Balon. Era geometra. A Torino ci sono cinque case che ha progettato, sono in corso Casale e in corso Quintino Sella. Anche lui era curioso e si interessava alla scienza. Purtroppo non aveva avuto maestri, e quindi la sua testa era piena di concetti sbagliati». Che fine hanno fatto i libri che suo padre acquistava sulle bancarelle? «Molti li ho ancora, sono in soffitta. Altri li vede lì in quella libreria, lassù in alto: l’Ariosto (un fumettone, ma divertente), la Divina Commedia, L’astronomie populaire e Les étoiles di Camille Flammarion. Sui libri divulgativi di Flammarion ho incominciato a conoscere l’astronomia. Ma per me il testo più importante fu la Matematica dilettevole e curiosa di Italo Ghersi, un manuale pubblicato da Hoepli. L’ho letto quando ero alle elementari. Ho saltato quarta e quinta grazie a un esame che mi ha permesso di iscrivermi al primo anno delle medie in una scuola privata di via delle Rosine. All’orale di matematica, come risultato di un problema, saltò fuori il numero 47. Toh, guarda, è un numero primo, esclamai. Il professore che mi esaminava si stupì. E come lo sai, mi domandò. Semplice, dissi: ho letto il Ghersi». Altri libri dell’infanzia e dell’adolescenza? «Non Pinocchio, ma tanto Salgari. Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, che fu anche matematico: in fisica si chiama Gruppo di Carroll la descrizione di un mondo fittizio in cui la velocità della luce è nulla, qualcosa di simile al coniglio di Alice, che corre sempre e resta nello stesso posto. A scuola I promessi sposi mi lasciarono indifferente. Non mi dispiaceva Leopardi. Niente Carducci, che invece mia moglie apprezza. Al liceo ho avuto un professore di italiano che si chiamava Vanara. Un bravo professore, ma allora io amavo solo la matematica e odiavo i temi di critica letteraria. Mi bocciò. Poi mi sono preso la soddisfazione di scrivere centinaia di articoli di divulgazione scientifica per i giornali, a quanto pare decenti. Il fatto è che per scrivere bene servono due cose: conoscere l’argomento ed esserne appassionati. Detestavo gli autori latini. Forse li avrei amati se invece di Virgilio mi avessero fatto conoscere Lucrezio o Plinio. L’unico libro in latino che mi ha conquistato è del matematico Gauss, le Disquisitiones Arithmeticae, lo scrisse nel 1798, quando aveva appena 21 anni, fu il primo testo sistematico di teoria dei numeri». Romanzi? «Negli Anni '90 mi fecero questa domanda in un programma radio di Rai Tre. Parlai di Ippolito Nievo, Le confessioni di un ottuagenario: mia moglie ne fu commossa perché citai Colloredo, il paese friulano dove è nata. E poi Thomas Mann, specialmente il Doctor Faustus: mi piacque perché parla di un musicista, e la musica classica è una mia passione. E Robert Musil, che era un ingegnere meccanico, L’uomo senza qualità .... ». Fantascienza? «Sì, i romanzetti di Urania, ma anche Isaac Asimov e Fred Hoyle, autore della Nuvola Nera. Però la fantascienza non mi ha mai convinto. Neanche quando a scriverla sono gli scienziati, come Asimov, che era biologo, e Hoyle, che è stato un brillante fisico teorico. Pure lui tira fuori cose senza senso, come astronavi più veloci della luce. La scienza vera è più sorprendente di qualsiasi fantascienza. Quando pubblicai una raccolta di miei articoli divulgativi la intitolai Le meraviglie del reale in contrapposizione a Le meraviglie del possibile, antologia di racconti di fantascienza che Fruttero e Lucentini curarono per Einaudi nel 1959». Scrittori che ammira? «Primo Levi, naturalmente. La sua chiarezza, che gli viene dall’essere chimico, l’ironia, la nitidissima testimonianza sui lager nazisti. Ho potuto conoscerlo bene, da un nostro dialogo è venuto fuori un libretto. Non ho mai capito perché si sia ucciso. Ma il più vicino a me è Borges, specie quello di Finzioni: Funès o della memoria, La biblioteca di Babele. Vorrei essere Funès, ora che i miei ricordi evaporano! Di Borges mi piacciono i giochi di specchi, i labirinti, il brivido dell’infinito. Proprio per Tuttolibri nel 1981 mi divertii a calcolare le conseguenze fisiche di una biblioteca come quella immaginata da Borges: il numero di libri possibili è uguale a 25 elevato alla 656 mila, per scriverlo occorrono poco più di novecentomila cifre. Ma il volume dell’universo osservabile in centimetri cubi è un numero di appena 85 cifre. La Biblioteca di Babele non starebbe nell’universo ... ». Lei ha dato alla fisica contributi importanti. Quando le assegnarono il Premio Einstein o la Medaglia Dirac le motivazioni ricordarono i Poli di Regge, applicati in meccanica quantistica, il Regge Calculus, primo tentativo di quantizzare lo spaziotempo, ricerche sui buchi neri. Per anni ha tenuto la cattedra di relatività all’Università di Torino. Se dovesse consigliare a un lettore comune un libro per capire le teorie di Einstein sceglierebbe la biografia che ne ha scritto Abraham Pais o l’esposizione divulgativa della relatività dello stesso Einstein? «Entrambe». Dire Tullio Regge significa tante cose: l’illimitata voglia di capire il mondo, la lotta civile per le pari opportunità di un uomo che da tanti anni una malattia costringe su una carrozzella, l’interesse per la musica, il gusto di costruire al computer disegni satirici. Ma un’attenzione speciale merita l’attività di divulgatore: un campo nel quale Regge è stato pioniere con conferenze, libri, Cd-Rom, mostre (Experimenta), iniziative come GiovedìScienza, tutte cose che stanno sotto il cappello dell’Associazione CentroScienza, dove tuttora è presente accanto a Danilo Mainardi, Aldo Fasolo, Piero Angela. L’infinito cercare rappresenta bene tutte queste sfaccettature e colpisce per la leggerezza con cui Regge tratta le cose importanti che ha fatto e la serietà che talvolta riserva a cose leggere. Nel congedarmi, scorro gli scaffali. Vedo L’Orlando furioso nell’edizione dei Fratelli Treves del 1894 illustrata con 517 incisioni di Gustav Doré, Borges nei Meridiani Mondadori, i due volumi delle Opere di Levi, la Fisica di Feynman (Zanichelli), La nuova fisica di Davis (Bollati Boringhieri), libri di genetica di Watson e Crick, gli scopritori della doppia elica del Dna. Ogni tanto un titolo di Odifreddi inquina sacri testi di matematica. In un angolo, un libretto in giapponese. Gli autori sono Tullio Regge e Vittorio De Alfaro. Tratta dei «poli di Regge», il lavoro giovanile che lo lanciò nel mondo della fisica." (da Piero Bianucci, Tullio Regge: "Come Borges sento il brivido dell'infinito, "La Stampa", 09/06/'12)

Nessun commento: