sabato 13 settembre 2008

Una del giro di Sara Gran


"Pensi anni Cinquanta in America e dal repertorio dell'immaginario spuntano i riccioli biondi di Doris Day, le casette col prato da tagliare, la tv nelle case, Elvis e le Chrysler scintillanti. Tutto sbagliato. La New York di Sara Gran è un buco nero e disperato: Hell's Kitchen, il più sciagurato dei quartieri, scavato sotto la pelle di Manhattan da un fiume di eroina a buon mercato, nel primo dopoguerra e alla vigilia della controffensiva dell'Fbi contro la mafia, lo stesso anno in cui McCarthy lanciava la sua caccia alle streghe rosse, iniziava la guerra di Corea e i Minneapolis Lakers vincevano il primo campionato di baseball. Di quello che accade fuori dal suo disperato quadrilatero di strade, bar equivoci e bordelli truccati da dancing, a Josephine 'Joe' Flannigan non importa quasi nulla. A trentasei anni è una sopravvissuta, un'ex tossica che ha toccato il fondo e se ne è tirata fuori con la vitalità elemenatre di un animale selvatico: ha fatto tana in una stanza d'affitto per leccarsi le ferite vivendo un giorno alla volta e tornando all'unico mestiere che ha imparato da piccola, furto, raggiro, borseggio. Se qualcuno da Tiffany nel gennaio 1950 va a far colazione, Joe ci va per rubare un anello da cui ricava 150 dollari. Così quando una coppia upper class gliene offre mille più mille alla consegna per ritrovare la figlia ragazzina finita sulla strada del buco a prostituirsi per pagare, ci sta con l'indifferenza di chi non può lasciarsi scappare un affare e alla peggio sparirà con l'acconto. Finisce invece per tornare preda del cacciatore più insospettabile e perciò presto sospetto al lettore più smaliziato. Calligrafico noir d'epoca, scritto con l'abilità di una trentenne che aveva già mostrato di saper manipolare il lettore con maestria riscrivendo con accenti psico horror la trama di possessione e delirio di Rosemary's Baby (La voce dentro, Longanesi, 2006, bestseller in dodici paesi), Una del giro si può leggere in dievrsi modi. L'autorevole critica di genere del New York Times, Marilyn Stasio per esempio la mette alla prova dell'anacronismo, ne pesca uno in un modo di dire nato dopo i Cinquanta (sparito poi nella traduzione italiana), ma perdona comunque promuovendo il libro. In ogni caso Gran evita le facili trappole: anche le ragazze perdute e male in arnese portano i guanti, sugli ascensori c'è sempre l'addetto alla manovra e quello a New York fu davvero l'anno del boom dei morti per overdose. L'altro modo di leggere un campione di verosimiglianza è invece vedere se e dove smette di essere come un mobile Chippendale rifatto in Brianza, per diventare qualcosa di più. Una del giro ci riesce almeno due volte. La prima con sottigliezza nella costruzione della protagonista: se si confronta Joe con le donne forti del noir dell'epoca, quelle rare ma formidabili di scrittrici di gialli e cinema come Dorothy Hughes (Il diritto di uccidere) o Leigh Brackett (Un cadavere di troppo), si capisce che Gran ha dato il suo meglio rinunciando a farne un'amica. Del tossico, Joe Flannigan, appena ripulita, mantiene la moralità azzerata dal bisogno e l'indifferenza affettiva, tranne che verso la sorellina che tenta di fare l'attrice e di cui conserva le foto ritagliate (e naturalmente sarà la sua rovina). L'emancipazione dell'eroina dalla bontà, insieme ai dettagli feroci sul mondo della dipendenza e del degrado, hanno la data di oggi. Il secondo colpo d'ala non ha proprio niente di sottile, ma non se ne può parlare perché è il finale. Basti sapere che chi bada alla convenzioni del giallo si è indignato e che Gran, come Joe, per arraffare il premio è pronta a ogni inganno. Le bad girl sono uscite dai libri e hanno incominciato a scriverli. Piuttosto bene." (da Maurizio Bono, Le cattive ragazze scrivono bene, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 06/09/'08)

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