mercoledì 3 settembre 2008

La donna del ritratto di Javier Cercas


"'I miei romanzi sono allo stesso tempo continuazioni e confutazioni dei romanzi precedenti': sono parole di Javier Cercas, l'autore spagnolo che qualche anno fa ha ottenuto un meritatissimo successo mondiale con Soldati di Salamina. Parole che invitano, dopo quel successo e dopo la conferma ottenuta con La velocità della luce, a ripercorrere il suo itinerario, a scavare nei libri precedenti per trovarvi tracce dei sucessivi ed entrare così nel suo meraviglioso laboratorio creativo. Si tratta di un'impresa che non ha solo un interesse storico-critico, da addetti ai lavori, ma che riserva piacevolissime sorprese anche per i lettori comuni. E' stato così nel caso di Il movente (romanzo apparso in Spagna una ventina di anni fa e in Italia nel 2004) e lo è ancor di più per La donna del ritratto, pubblicato in edizione originale, con il titolo El vientre de la ballena, nel 1997. La storia raccontata da Cercas inizia con il reincontro fortuito, all'uscita di un cinema di Barcellona, fra Tomàs e Claudia, uan donna di cui Tomàs era segretamnete innamorato ai tempi del liceo, vent'anni prima. E' agosto, sono entrambi soli in città, senza mogli e mariti, e finisocno a letto inisieme. Fin qui, tutto (quasi) normale. Ma Tomàs professore universitario precario che sta vivendo un periodo di stanchezza nel proprio matrimonio e attraversa un difficile momento sul lavoro, si convince, in un accesso di esaltazioen adolescenziale, che quell'incontro è un segno del destino e che Claudia è stata, è e sarà la donna della sua vita. Un anno e mezzo dopo, quando saranno successe tante cose che gli avranno radicalmente cambiato l'esistenza, quando avrà inseguito disperatamente un amore appena intuito, quando sarà stato spettatore di una scomparsa che avrà subito immaginato come una tragedia, quando si sarà inifilato in un incubo fatto di aspettative inconsistenti e di equivoci grotteschi, Tomàs si metterà a scrivere e a racconatre ciò che è accaduto. Per capire e liberarsene, sapendo, però, che 'ricordare significa inventare, che il passato è un materiale malleabile e che tornarci sopra equivale quasi sempre a modificarlo'. Questo tema che ritornerà poi in tutti i romanzi dell'autore spagnolo, sarebbe piaciuto molto, per esempio, a Cortàzar, affascinato dai meccanismi grazie ai quali realtà e finzione si fondono e si confondono. E infatti Cercas scrive che 'vivere consiste nell'inventarsi la vita a ogni passo, nel raccontarla a se stessi. Per questo la realtà non è altro che il racconto che qualcuno st anarrando, e se il narratore scompare, anche la realtà scomparirà con lui'. Naturalmente il narratore Cercas non scompare da questo libro e anzi, dopo qualche pagina centrale appena meno intensa, ci conduce, in un crescendo sempre più serrato, nella storia di Tomàs convinto che Claudia sia stata assassinata dal marito geloso, di Tomàs che coinvolge due amici, professori universitari, a forzare l'appartamento di lei, per scoprirvi poi una coppia riappacificata, di Tomàs che continua a riflettere sugli intrecci fra letteratura e vita o sul proprio dilemma esistenziale, che consiste nel non saper essere né un 'personaggio di destino', che guarda con ambizione al futuro, né un 'personaggio di carattere', a proprio agio col presente. Così, incerto tra l'epica e la tragedia, Tomàs finisce per assumere anche tratti comici. E tuttavia, grazie alla distanza ironica che gli concede la memoria, continua a illuminarci sulle preziose lezioni ricevute nella sua 'cognizione del dolore', nella sua esperienza dei rapporti umani e nel suo attraversamento dei miraggi della felicità." (da Bruno Arpaia, Una vita fatta di epica, "Il Sole 24 ore Domenica", 31/08/'08)

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