lunedì 22 settembre 2008

Giovani senza 'canone'


"Al giro del nuovo millennio si discusse molto nelle università italiane della
necessità di un nuovo canone letterario. Si capì, finalmente, che lì dove andavamo il canone nazionale tradizionale non ci avrebbe seguiti. Si discusse molto di un canone aperto, globale, di una riforma dell'insegnamento universitario nell'ottica della comparatistica interlinguistica, interdisciplinare. Si discusse, poi non se ne fece niente. Il canone evaporò, il matrimonio tra l'istituzione letteraria e l'educazione delle nuove generazioni non si fece. E, se si fece, non venne consumato. Rimase il mercato. Ora si torna a parlare di un canone letterario e, non a caso, lo si fa pensando a un canone letterario della giovinezza. Libri che la raccontino, che la esprimano, che le si rivolgano. Scritti sui giovani, per i giovani o dai giovani? Non è chiaro ma non importa. Ciò che importa è che il dissolversi di un canone letterario nuoce innanzitutto al dialogo tra le generazioni, fino al punto di pregiudicare l'appartenenza a una cultura condivisa, la possibilità stessa che la letteratura svolga ancora un ruolo cardine nel processo di civilizzazione di una società e di orientamento esistenziale di un individuo. Fino a ieri, ai tempi dell'umanesimo, condividere una cultura significava aver letto gli stessi libri; educare i fanciulli significava prestar loro 'libri bussola' nella navigazione di una vita. Stelle polari e un firmamento contro cui stagliarle. Questo erano le letture canoniche che una generazione affidava alle successive. Se dovessi indicare le letture che hanno segnato la mia giovinezza ne verrebbe fuori, temo, un elenco spurio di opere di scrittori appartenuti alle più diverse generazioni del '900 e alle più diverse latitudini del mondo occidentale (segno di un canone in via di frantumazione). In ordine (necessariamente) sparso: Primavera nera di Henry Miller, Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, Il pasto Nudo di Burroughs, il Viaggio di Céline, Il trattato del ribelle di Jünger, Una questione privata di Fenoglio. Dovendo, poi, indicare libri scritti da uomini del mio tempo, l'ordine non sarebbe meno sparso: La logica del senso di Deleuze, Meno di Zero di Ellis, il Seminario sulla gioventù di Busi, L'estensione del dominio della lotta di Houellebecq, Una cosa divertente che non farò mai più di Forster Wallace (la terra gli sia lieve). Non so se questi libri tanto lontani entrino tra loro in una costellazione ma per ognuno di essi ricordo con esattezza il momento e la persona che me li consegnò. E di qui passa la questione cruciale di un canone della giovinezza: la possibilità che un libro sia ancora, a un tempo, viatico e lascito. Mi spiego. Capita che, dopo aver discusso la tesi di laurea, prima di prendere il largo, gli studenti migliori tornino dal loro professore per un'ultima volta. Tornano per ringraziare ma soprattutto per porre l'unica domanda davvero urgente: vengono tutti, infallibilmente, a interrogarti sul senso della vita. Della loro vita. Tergiversano, ammiccano, ostentano finte timidezze, poi tutti quanti, in un modo o nell'altro, t'inchiodano: 'E adesso … che faccio adesso? Mi rendo conto che non sono affari suoi…ma che ne devo fare della mia vita?'. E' questo, oggi, il momento più crudele nella vita di un professore. Da due secoli oramai il romanticismo ci ha abituati a vedere nella giovinezza la categoria dello spirito inquieto, tormentato e fecondo. Ma oggi, in quella balbettante richiesta di una direzione, in quel totale disorientamento rispetto al proprio avvenire, buttato lì distrattamente nei cinque minuti di un ricevimento studenti rubati al disbrigo di pratiche burocratiche, la giovinezza dei nostri studenti appare ancora irrequieta e tormentatama, forse,non più feconda. La loro inquietudine non appare più dovuta a un'impalpabile svisatura esistenziale ma a una massiva, inaggirabile datità sociale. Quei ragazzi che blaterano per qualche secondo di un possibile soggiorno all'estero, per poi accennare subito dopo, e senza la minima convinzione, a un improbabile corso di specializzazione in Italia, oppure a 'un lavoretto part time', oppure a un impiego all'aeroporto di Orio al Serio, e via dicendo, quei ragazzi che, ostentando un cinismo di cui non sono affatto all'altezza, biascicano formule insensate come 'darsi al marketing', che si affidano a programmi minimi di vita riducibili a insulsi protocolli linguistici del tipo 'conoscere qualcuno', 'entrare nei giri giusti', 'avere una piccola dritta', quei ragazzi, purtroppo per loro e per noi, non si sentono più, romanticamente, precari nell'esistenza. Si sanno, ben più prosaicamente, precari nella società. E la prosaicità a vent'anni mi ostinerei a trovarla francamente delittuosa. A ogni professore questa nuova desolazione giovanile è già stata raccontata decine di volte, a brandelli e a singhiozzo, nel corso d'innumerevoli visite post-laurea. Ma ogni volta si sa che l'ascolteremo ancora e sempre di nuovo in modo frammentario, balbettante, inconcludente. Nessuno potrà racchiudere quell'orizzonte di esclusione, solitudine e dispersione entro una narrazione coerente. Questo precariato è sì un paese straziato, dove nessuna croce manca, ma ognuna sta accanto all'altra come il frantumo di una totalità perduta. La vita di ciascuno di noi è divenuta un fatto privato. Lo sappiamo noi e lo sanno anche loro. Sappiamo fin troppo bene, su entrambi in versanti della cattedra, che ci toccherà ancora, in molte altre circostanze simili, di sgranare quel rosario straziante di lamentele e guaiti. Domanda e risposta non potranno che tracciare la rotta di una vita destinata a rimanere senza biografia. E di una chiacchiera insulsa, una folie a deux battezzata dal vento della dissipazione. Ed è allora che capisci quanto sarebbe importante avere ancora un canone della giovinezza. Allora rimpiangi di non poter più chinarti dietro la scrivania, tirare fuori dal cassetto un libro gualcito e dire: 'Tè, leggi questo. E' tutto qui dentro'. E poi augurare al ragazzo che hai di fronte la fortuna dei naviganti." (da Antonio Scurati, Giovani senza canone, "TuttoLibri", "La Stampa", 20/09/'08)

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