giovedì 11 settembre 2008

Il centenario di Pavese: Officina Einaudi


"L’iniziativa più rilevante per commemorare il centenario della nascita di Cesare Pavese è la pubblicazione di una folta raccolta di lettere. Il titolo che le comprende, Officina Einaudi, svela quale sia stato il progetto che ha guidato la curatrice Silvia Savioli. Attraverso una indagine ammirevole per la puntigliosa ricerca dei testi e la ricchezza dei riferimenti illustrativi, questa allieva di Marziano Guglielminetti ha inteso documentare un aspetto spesso trascurato di Pavese: il suo lavoro di editore, in cui si è speso con una passione e un rigore senza eguali. Data la vastità dell’epistolario pavesiano, Silvia Savioli è stata costretta a privilegiare i rapporti intrattenuti, tra il 1940 e il 1950, con i principali collaboratori della casa editrice Einaudi, quelli interni, escludendo peraltro i carteggi con Leone Ginzburg e Ernesto De Martino, già pubblicati in altre sedi. Nonostante le lacune, che penalizzano anche altri corrispondenti, per così dire più periferici, Officina Einaudi si presenta con una sua significativa, ideale compattezza. Testimonia intanto come sia faticoso 'costruire' un libro, nelle varie fasi che vanno dalla scoperta preliminare di un testo e dai rapporti con il suo autore, alla spesso combattiva acquisizione dei diritti, alla individuazione del traduttore 'giusto'. Tanto più quando a occuparsi in toto di questi vari passaggi, e per ogni disciplina, è un uomo come Pavese, per inclinazione propria e per statuto di Giulio Einaudi che è arrivato a proclamarlo 'dittatore' della casa editrice. Gli studiosi troveranno nell’incalzante vicenda di tanti nomi acquisiti, perduti o rifiutati dallo Struzzo, un ausilio prezioso per la storia dell’editoria e della cultura del Novecento. Ma, come osserva Franco Contorbia nella sua introduzione, queste lettere non si esauriscono 'nella disadorna e talora perentoria asciuttezza che generalmente si associa a una infallibile capacità di 'controllo' e di giudizio critico esercitato in re'. Soprattutto nell’esordio e nella conclusione di una lettera, quando si trova di fronte a un interlocutore di umori congeniali, Pavese non rinuncia a dare libero corso ai propri risentimenti, senza escludere il garbo della scrittura. E’ il caso delle lettere sferzanti o scherzose a Giulio Einaudi: '... avendo ricevuto n. 6 sigari Roma - del che Vi ringrazio - e avendoli trovati pessimi, sono costretto a risponderVi che non posso mantenere un contratto iniziato sotto così cattivi auspici'. Frequenti gli scambi vivaci, affettuosi o polemici, con Carlo Muscetta, magari sulle inadempienze dell’ufficio romano: '... sapete cosa vuol dire crin in piemontese? Vuol dire porco. Spedito il contratto Molière a Valeri, questi ci scrive che casca dalle nuvole e, comunque, accetta e aspetta istruzioni da te'. E alle insinuazioni spiritose dell’amico, che lo esorta a occuparsi nei suoi romanzi di contenuti 'degni del secolo', e non di amorazzi, obietta: '... ci sono dei secoli in cui gli amorazzi, ed essi soli 'varcano il silenzio'. Esempio il cantore di Laura che non cavò un ragno dal buco con l’Africa'." (da Lorenzo Mondo, La fatica di fare un libro, "TuttoLibri", "La Stampa", 06/09/'08)

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