martedì 30 settembre 2008

La terra più del paradiso di Roberta Dapunt

'Vedi, il tempo che si concentra
qui dentro questa stanza,
amico mio che t’invento,
comprime i giorni fino a soffocarli.
Questa è la mia vita
e da essa io ti sto scrivendo.
Io non ho altro,
da me non parte nient’altro.
Leggimi quindi. Rimani e siedi.
In fondo non chiedo nient’altro
che essere guardata in faccia
e negli occhi spalancati'

"Eccolo qua il piccolo libro appena uscito nella 'bianca' di Einaudi, La terra più del paradiso. Un libro di corpo piccolo ma di grande intensità. Lo ha scritto la trentottenne Roberta Dapunt, che non è ignota agli annali
della poesia (ha già pubblicato due libri ed è ben attiva nel mondo culturale della Ladinia dolomitica) ma che - grazie alla maggiore visibilità garantita dal marchio einaudiano - arriva a far sentire la sua voce ben oltre i confini del maso di Ciaminades (Alta Val Badia) in cui vive. Notizie minime che servono a collocare la poetessa e che un po' anche aiutano a entrare nel suo mondo, ma che non sono poi così indispensabili alla lettura dei testi. Come diceva Goethe nell'epigrafe al Divan occidentale orientale, 'Chi vuole comprendere la poesia / deve andare nella terra della poesia; / chi vuole comprendere il poeta / deve andare nella terra del poeta'. A contare, qui, più dei luoghi è la lettura di una poesia folgorante, la rivelazione di una voce granulosa e fortemente spirituale. Contro tanta poesia che richiede lettori in qualche modo specializzati, la poesia della Dapunt sembra immediatamente toccare i vertici di una forza e di un'innocenza spontanee. E tuttavia non vorrei che si commettesse l'errore di pensare al frutto di un dire immediato. Tutt'altro. Qui si arriva alla 'semplicità' (c'è anche un testo rivolto alla madre, che s'intitola Poesia semplice) attraverso una dura macerazione, un vero e proprio percorso di spoliazione. Se mai sarebbe tutto da chiarire - specie rispetto alla presenza di una corporalità resistente e tesa - il
rapporto di vicinato artistico con Lois Anvidalfarei, lo scultore badiota che la Dapunt ha sposato nel '94 e da cui ha avuto le due figlie di poesia dolce. Da La terra più del paradiso vengono le orazioni disarmate di una credente in cerca di fede: 'Divina solitudine della mia parete, / cederei la penna per un giorno di fede'. Le confessioni di una lotta (la triste raccolta) che abbisogna di chiarimenti: 'Non contro te Dio cammino per notte insonne, / ma perché ho nell'anima un'estate malata / e un solo pensiero marcio / suda l'odore acre / di quando le prugne vanno a male'. Le presenze angeliche degli umili e degli ultimi, maanche quelle così concrete e simboliche di una gallina che 'ha da finire di morire'. Il senso e il segno della 'riservatezza rurale', l''umile gioia dei giorni', le stagioni (molto l'inverno e il suo silenzio) che attraversano il cuore, l'esemplare ruminìo delle mucche che si estende all'uomo. Un mondo di chiaroscuri e spesso di interni: la stalla (urna e scrigno la greppia 'colma del fieno raccolto'), la stanza (tabernacolo e arca), gli umili ingressi, la finestra nel buio ('alla finestra devo la pazienza e l'aspettare'). Ma anche il prato e l'orto, anche la comunità ('la mia gente'), la comunione dei vivi e dei morti, la compassione, i paragoni concreti, gli oggetti rustici, le immagini che sibilano come 'un fruscio di falce'. Versi musicalmente abrasi - prosastici - come questi: 'È raccogliere terra sputata dal fondo e seminarla, / di nuovo, in segno di generosità verso essa'. Versi in lotta: 'Per ora non chiedo altro, / che di rimanermi muto, Dio'. Versi - quando occorre - anche in ladino. Versi inquieti (esilio in Corpus Domini): 'Non conosco fuga né mai ripiegai le mie radici, / ma qui, dentro i paesi delle mie genti conosciute, / dentro questo tempo dei valori educati / e delle molte solitudini, vicine di casa, / io sono in esilio. / In mezzo agli alberi, dentro all'erba, sotto i fiori, / io sono la zolla staccata dei campi coltivati'. Una poesia per nulla cantabile ('Io non riesco, non mi è dato scrivere il bel canto'), ma di profonda radice interiore, di accoglienza creaturale, di folgorante, religiosa, drammatica bellezza. Una poesia da non mancare." (da Giovanni Tesio, Alla finestra una credente in cerca di fede, "TuttoLibri", "La Stampa", 27/09/'08)

Nessun commento: