venerdì 5 settembre 2008

Quelli che ami non muoiono di Mario Fortunato


"Mario Fortunato la fortuna se l'è creata da solo e la stima se l'è guadagnata. Quando il governo Berlusconi nel 2002 cercò di rimuoverlo dalla direzione dell'Istituto italiano di cultura a Londra perché 'comunista e omosessuale', a firmare in suo favore si spesero Harold Pinter, Doris Lessing, Salman Rushdie, Hanif Kureishi, Ken Loach, Colin Firth e italiani da Umberto Eco a Michelangelo Antonioni. 'La letteratura è stata la mia apertura al mondo, un passepartout con cui ho condiviso piaceri e curiosità' dice mentre prendiamo un aperitivo in un bar romano per parlare del suo ultimo libro Quelli che ami non muoiono (Bompiani), titolo mutuato da un verso dell'amico Iosif Brodskij. Il racconto di trent'anni di vita culturale e mondana, di rapporti, emozioni e solide amicizie con personaggi difficili e capricciosi. Come personaggi di un romanzo vengono raccontati Alberto Moravia, Laura Betti, Pier Vittorio Tondelli, Nanni Moretti, Giulio Einaudi, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Lou Reed, David Grossman, Doris Lessing, Colin Firth. 'Ho cercato di scrivere un'autobiografia attraverso gli altri' spiega Fortunato. Calabrese, trasferitosi a Roma nel 1977. Otto anni dopo entra a "L'Espresso" come responsabile dei rapporti con i collaboratori esterni, cioè Moravia, Manganelli, Sciascia, Fortini. 'Ero un provinciale che veniva da un paesino calabro in cui non c'era neanche una libreria e mi si offriva un'apertura al mondo'. In poco tempo Fortunato diventa il ventriloquo di Moravia. 'Quando "L'Espresso" gli chiedeva un articolo di attualità, chiedeva che andassi io a casa sua a raccogliere il suo pensiero e poi scrivessi a suo nome'. Il pregio dell'autore è di essere risucito a tenere a bada il suo io, operazione non facile quando si è protagonista di eventi eccezionali, come entrare in casa Salman Rushdie ventiquattro ore prima della fatwa e fendere una folla di musulmani inferociti; l'ultimo giornalista a intervistarlo prima della sua sparizione. Il libro è pieno di aneddoti, come per esempio il viaggio in autobus con Doris Lessing da Mondello a Monreale senza avere il coraggio di rivolgerle la parola, intimidito. Con Manganelli fu amicizia surreale e puro divertimento. 'Quando uscì il mio primo romanzo glielo mandai con dedica. "Dovrebbe andare a Helsinki. Il suo modo di scrivere ricorda Alvar Aalto", commentò. "E lei invece a quale architetto paragona la sua scrittura?" chiesi. "A Gaudì, perché mette insieme un'idea imponente di architettura con elementi che ricordano Disneyland"'. Naturalmente il libro è pieno di lunghi dialoghi sulla letteratura. Ecco cosa dice Moravia: 'Tutto il cammino della mia letteratura va verso uno scopo: che è quello di rendere il sesso insignificante. E' come nella Lettera rubata di Poe. Si poteva scrivere quel racconto senza una lettera? No. Però la lettera in sé non significa nulla. Così il sesso nei miei romanzi'. I dialoghi sono così vividi che ci si chiede se Fortunato abbia una memoria prodigiosa o un archivio prezioso. 'Entrambi. Il libro è nato da un trasloco. Lasciando la casa di Londra e di Roma mi sono accorto di avere accumulato una quantità di nastri registrati, quadernetti di appunti, cartoline straordinarie di persone morte. Essendo vicino ai cinquant'anni, ho deciso di scrivere un racconto, parlare del mio passato e fare un bilancio della vita'. Molte pagine sono dedicate a Giulio Einaudi 'con cui ho avuto un rapporto edipico. Eravamo entrambi dispettosi, polemizzavamo su tutto. Ma mi voleva bene. Quando rifiutai di pubblicare il secondo romanzo con l'Einaudi e scelsi Teoria, ne fu entusiasta. Di fronte alla nuova proprietà, che allora era Sandro Dalai, ero la prova che gli autori non si compravano con i soldi, ma con la vicinanza culturale'. Nel 2000 Fortunato lascia "L'Espresso" per dirigere l'Istituto italiano di cultura a Londra. 'Quando in un'intervitsa a "Il Sole 24 Ore" il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini dell'Udc dichiarò che bisognava rimuovermi perché ero comunista e omosessuale, passai mesi durissimi. Se non mi avessero chiesto di tenere duro avrei fatto le valigie e sarei andato via. Invece per sei mesi rimasi lì senza stipendio'. Poi arrivò la lettera aperta degli intellettuali inglesi a cui si aggiunsero gli italiani. 'Mi chiamò anche lo spin doctor di Tony Blair, Alister Campbell, per dirmi che il governo britannico si stava muovendo non ufficialmente. Fu gratificante. Allora pensai che anche se mi avessero cacciato ero un uomo fortunato." (da Brunella Schisa, La mia autobiografia raccontata attraverso i grandi del Novecento, "Il Venerdì di Repubblica", 05/09/'08)

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