martedì 30 settembre 2008

Quelli che ami non muoiono di Mario Fortunato


"Viviamo in un'epoca di concitazione mediatica, in cui il personaggio autore tende a sopraffare le qualità dell'opera che ha prodotto. O peggio, poiché ormai quasi tutto è gossip, si finisce per cercare nell'opera qualcosa che parli (o sparli) dell'autore, come se il testo fosse (e in larga parte di fatto è) un lapsus freudiano. Altrimenti detto: conoscere l'autore serve a migliorare la conoscenza della sua opera? Il libro è sempre meglio di chi lo ha scritto, per cui sarebbe raccomandabile evitarne la conoscenza personale? Pur appartenendo ancora all'età di mezzo, Mario Fortunato ci consegna una galleria di illustri personaggi che ha avuto modo di frequentare nella sua triplice veste di scrittore, redattore de "L'Espresso" e (brillante) direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Londra 2000-2004. Il titolo riprende un verso di Iosif Brodskij, per il quale 'le persone sono ciò che ricordiamo di loro. Quello che noi chiamiamo vita è, da ultimo, un collage di ricordi di qualcun altro'. Fortunato sa bene che la sua reinvenzione memoriale è 'parziale, sghemba e soggettiva', e ci invita a prendere i ritrattati come altrettanti personaggi di un suo 'romanzo' autobiografico. Sono i protagonisti di una civiltà
letteraria che lui sente perduta proprioquando gli sembrava d'essere riuscito a padroneggiarla, a farla sua. Di qui un tono di nostalgia appena accorata, di gentile sconforto. Si va da Borges già cieco, capace di intuire il carattere dell'interlocutore prendendogli le mani, a un Giulio Einaudi ottuagenario che sprizza come sempre vitalità, curiosità e affondo micidiali, dall'amatissima fotografa Nan Goldin a pittori come D'Orazio, ma anche a un attore come Matt Dillon, a registi come Henze e Ken Loach. L'attitudine di Fortunato è quello dell'apprendista incantato, tutto teso all'ascolto ma già capace di arrivare all'essenza dei personaggi che frequenta e di fissarli con pochi tratti. Ecco Brodskij a Roma con la sua 'aria dolce e goffa di eterno ragazzo', 'imbronciato e largamente incredulo'. Goffo ci appare anche un tenero Pier Vittorio Tondelli, tutt'altro che sperimentale e maledetto. Uno Ionesco già infermo continua a 'sorridere come un Buddha silenzioso ma vigile'. Di Moravia si loda la disponibilità al dialogo, ciò che lo rende 'un interlocutore ideale, autorevole e fraterno insieme', e in sostanza un maestro vero (duri ma acuti i suoi giudizi critici sui contemporanei). Particolarmente empatico il ritratto di Natalia Ginzburg 'indifesa e selvatica, forte come pochi', che parlava e scriveva alla stessa maniera, 'chiara e assertiva,pur nella timidezza'. Giorgio Manganelli è ritratto nel suo appartamento sito all'indirizzo 'improbabile', come lui stesso avrebbe detto, di Via Chinotto otto: pingue, stanziale, ma capace di scatti imprevedibili. E poi un già distaccato Paul Bowles colto nel suo dimesso appartamentino di Tangeri, quanto lontano dalla sua leggenda estetizzante; la vocina femminea e incantatrice di Fellini, l'affabilità di Yehoshua, la luminosa solidità di Amos Oz, il sereno ambiente famigliare di David Grossman, Ferlinghetti con la sua aria di nobile e giocondo marinaio, Doris Lessing turista in Sicilia con la semplicità di una ragazza un po' sciatta, Anita Desai con la sua morbida, misurata eleganza che sembra sottesa da una quiete religiosa, Colm Toíbín 'rilassato come Simenon, complesso comeil suo James' ... E tutt'intorno la Berlino del dopo-Muro, insieme attonita e febbrile, la New York degli artisti dove può capitare che il tuo vicino di casa sia Lou Reed, l'effervescente Londra d'inizio millennio. Tra i non molti antipatici, spiccano un Robbe-Grillet che pontifica insopportabilmente su tutto, una Agota Kristof murata in una specie di autismo-mutismo scontroso, che forse è soltanto paura del mondo, e un Paul Auster dalla cortesi aun po' gelida. Si potrebbe dire, come già dei disegni di Tullio Pericoli, che questi rapidi cartoni finiscono per diventare dei piccoli, utili saggi critici. E allora sì, valeva la pena incontrare da vicino tanti personaggi che forse appartengono a un mondo al tramonto, ma restano più vivi che mai." (da Ernesto Ferrero, Erano occhi le mani di Borges, "TuttoLibri", "La Stampa", 27/09/'08)

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