mercoledì 6 agosto 2008

Strade morte di William S. Burroughs


"Come nell'allucinatoria saga di Matrix, la realtà sensibile non esiste. Non è altro che un inganno, il prodotto di un virus inoculato nel nostro sangue da agenti venusiani in combutta con i potenti della terra: petrolieri, magnati della stampa e propaganda, bigotti e conservatori, persecutori del libero pensiero. In otto micidiali proposizioni teoretiche, Burroughs illustra il progetto poltiico del terribile nemico dell'umanità: 'sostengono ogni religione dogmatica ... sono gli arciconservatori ... non perdono occasione per invertire i valori umani ... sono parassiti ... il loro più potente strumento di manipolazione è la parola ... sosterranno sempre ogni misura tendente a rincretinire l'ospite umano ... preferiscono prendere possesso delle donne che non degli uomini, più di tutte le donne religiose ...'. E sopra ogni altra cosa, usano, per i loro turpi fini, la democrazia, una democrazia svuotata di senso e ridotta a mero simulacro dei desiderata della maggioranza: 'il governo della maggioranza è a loro vantaggio visto che la maggioranza può esere manipolata'. Se le cose stanno così, non è più tempo di chiacchiere. Ma di azione. Ed ecco entrare in scena Kim Carsons. Pistolero letterato e ultraomosessuale, questo ragazzo selvaggio che manda odor di puzzole e di arance morte viaggia nel tempo e nello spazio, dall'eroico Far West di una volta agli abissi siderali di galassie inesplorate, seminando morte, distruzione, vendetta. O, per meglio dire, Giustizia. Al suo fianco, la Famiglia Johnson: un vecchio modo di dire del Sud che definisce gli irregolari, i non riconciliati, quelli che rallentano il ritmo della produzione, i dolci malandrini, i teneri assassini. Riletto a un quarto di secolo dalla sua uscita questo secondo capitolo della Trilogia della maturità ci fa comprendere, una volta di più, quanto frettoloso e superficiale sia considerare Burroughs soltanto un talento visionario condizionato dall'abuso di droghe. Questo è un romanzo dichiaratamente, fortemente politico. Un manifesto della resistenza umana contro le aberrazioni del contemporaneo, un grido di dolore contro la deriva reazionaria dell'America. Non visionario, Burroughs, o non solo: semmai, pre-visionario. Nel senso di intellettuale che pre-vede, con una lucidità impressionante, ciò che lo spirito del tempo (e annessa propaganda) si sforza in tutti i modi di occultare. Un gioco nel quale Burroughs è stato maestro insuperato. Negli anni Cinquanta ad esempio previde gli esperimenti nucleari segreti e le schedature di massa. E fu, ovviamente, preso per pazzo. Ci si dovette ricredere quando il santone del conservatorismo John Wayne si ammalò di cancro durante le riprese di un western ... Strade morte, scritto in pieno reaganismo, anticipa la crisi della democrazia, la deriva sicuritaria, denuncia l'uso criminogeno e depauperante delle politiche sanitarie (un'autentica ossessione per Burroughs che avrebbe sicuramente votato per Hillary), il pervertimento dei valori fondanti del suo Paese. Radicale, nel suo andare alla radice del crollo del Mito americano, Burroughs affida ai suoi impudichi eroi il sogno dell'innocenza perduta, e a se stesso, in quanto alter-ego del giustiziere Kim, il dovere di una scrittura estrema, perturbante, sovversiva. Probabilmente, questa scrittura sfrenata è tutto ciò che sopravvive della gloriosa e dimenticata, Beat Generation, colpita da un oblio che sa alquanto di rimozione, di ossequio a mode transitorie. D'altronde, quanto pagherebbe oggi, in termini di successo e di 'grane', uno scrittore che osasse tanto? Forse è giusto che William S. Burroughs resti così unico. E così felicemente fedele, sino all'ultimo respiro, al ruolo di grande, irriducibile Cattivo Maestro." (da Giancarlo De Cataldo, Un grande cattivo maestro, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 26/07/'08)

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