giovedì 14 agosto 2008

Cattivi samaritani. Il mito del libero mercato e l'economia mondiale di Ha-Joon Chang


"Perché alcuni Paesi riescono a svilupparsi mentre altri rimangono poveri? A questa difficile domanda prova a dare risposte poco convenzionali, in uno stile accessibile e arricchito di metafore e paradossi, Ha-Joon Chang, economista coreano che insegna a Cambridge, in un libro (Bad Samaritans: Rich Nations, Poor Policies and the Threat to the Developing World) di cui è annunciata la traduzione in italiano (Cattivi samaritani) per i tipi della casa editrice Egea. L'autore porta un deciso attacco alla visione degli economisti del libero scambio e alle loro raccomandazioni di policy. Secondo la ricostruzione storica proposta dall'autore, i Paesi occidentali, quando fu il loro momento di 'arrampicarsi sulla scala dello sviluppo economico', si guardarono bene dal seguire ciò che adesso raccomandano (da qui l'epiteto di 'cattivi samaritani'). Chang porta una serie di esempi della più o meno recente storia economica mondiale a sostegno della tesi che barriere tariffarie, dazi doganali, regolazione degli investimenti esteri, protezione delle infant industries sono stati gli ingredienti fondamentali dello sviluppo economico sia a Occidente che a Oriente, nel XIX secolo come nel XX. Ne viene fuori una critica alla libertà di movimento dei capitali e ad alcuni luoghi classici del pensiero economico liberale. Così l'autore promuove l'impresa pubblica, dichiarandosi scettico sull'idea che queste imprese abbiano minori incentivi della grande impresa privata a seguire il vincolo di bilancio (con buona pace di quegli economisti che proprio dallo studio delle economie socialiste hanno enfatizzato i pericoli del soft budget constraint), diffida delle privatizzazioni ('anche quando la privatizzazione rappresenta la giusta soluzione può essere difficile realizzarla bene'), è pronto a mettere sullo stesso piano una tangente a un burocrate e il pagamento di una somma per ottenere una licenza in un'asta competitiva. Il libro, per le sue visioni eterodosse, invita a riflettere. Tuttavia in questa sua opera critica mi sembra che l'autore sia andato troppo oltre. In primo luogo perché ignora uno dei punti principali del pensiero economico liberale (ma qui c'è una preferenza del recensore): l'impossibilità per i governi di avere tutte le conoscenze necessarie per una gestione diretta dell'economia. In secondo luogo perché trascura che la sua ricetta, negli ultimi cinquant'anni, ha avuto successo solo nei Paesi dell'Asia orientale dove la mancanza di abbondanti materie prime ha verosimilmente contribuito al successo del settore manifatturiero; minimizza inoltre gli effetti negativi della corruzione sullo sviluppo, testimoniati da un'abbondante evidenza empirica. Infine sembra dimenticare che anche i Paesi dell'Asia hanno beneficiato del libero scambio (o almeno delle sue versioni diluite, si ricordi la lenta, incompleta liberalizzazione delle importazioni in Europa di autovetture coreane e giapponesi) e non hanno certo raggiunto quei tassi di sviluppo basandosi solo sulla domanda interna. Manca qualsiasi prospettiva controfattuale: cosa sarebbe accaduto alla crescita economica dei Paesi sottosviluppati se non avesse prevalso negli ultimi cinquanta il libero scambio? In conclusione, il duello tra colbertisti (o hamiltoniani, al segretario al tesoro dei primi anni dopo la nascita degli Stati Uniti d'America si deve, ci ricorda Chang, uno dei primi policy paper in favore delle infant industries) e fautori dell'economia di mercato e del libero scambio è destinato a continuare anche dopo la pubblicazione di Bad Samaritans e ricette valide ovunque e in ogni caso per lo sviluppo economico restano ancora da scrivere." (da Alfredo Macchiati, A chi serve il libero mercato?, "Il sole 24 ore Domenica", 20/07/'08)

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