lunedì 4 agosto 2008

Edoardo Sanguineti


"E se si trascorresse l’estate leggendo Platone, ma tutto Platone, in greco? Accadde, accadeva, negli Anni Cinquanta. E non a uno studente inamidato, con la mutria. Edoardo Sanguineti, che diverrà un professore e uno scrittore e un poeta ostinatamente, felicemente 'fuoricorso', Gruppo 63 e dintorni, l’esame con Nicola Abbagnano lo preparava al bar, 'in mezzo al chiasso'. Si può operosamente oziare anche così, dialogando con Fedone e con Cratilo, con Fedro e con Teeteto. Chi pativa l’alfa e l’omega era il suo Gozzano, 'pallido bambino / sbocconcellante la merenda, chino / sul tedioso compito di greco ...'. Sanguineti, meglio un agosto 'a bordo d’un yacht / toccando tra liete brigate / le spiagge più frequentate / dalle famose cocottes ...', magari in veste di precettore del Bel Guido, riluttante liceale, o sul litorale ('il chierico organico' a Genova è nato e vive) dove Montale, l’inetto, ammira i tuffi di Esterina grigiorosea nube? 'Sceglierei Gozzano, sicuramente, lo mio autore, uno, almeno. Ancorché non ami navigare né abbia uno speciale penchant per gli yacht o, come si dice oggi, barche, tali i guai di cui sono causa. Esterina 'crocifissa al suo tuffo' mi è lontana. Sarà che non mi sono mai esibito in un tuffo, sarà che non sono, infine, un animale marino. Come raccomandava mio padre, che era ligure: 'Loda il mare e tienti alla terra'.
Il gozzaniano Re di Tempeste parodia l’Ulisse dantesco. A proposito di navigare: 'Ahi Italia ... senza nocchiero'. 'Il nocchiero occorre e c’è. La verità, il dramma, è che mi sento orribilmente guidato'. Dante giusto settecento anni fa avrebbe cominciato a scrivere la Commedia. Le letture di Inferno, Purgatorio, Paradiso - da Arnoldo Foa a Vittorio Sermonti, a Roberto Benigni - caratterizzano pure quest’estate. Lei è un dantista principe. Come guarda a questi spettacoli? 'Mah ... Dante sul palcoscenico è un’operazione identitaria. Che affonda le radici nel tempo. Lo diceva Gramsci: la nascita delle nazioni ha creato l’angoscia di identificare il grande autore nazionale. Ciò detto: da Benigni speravo di più. Si è impancato a doctor, sfoderando spiegazioni o erronee o assai discutibili. Mi sarei aspettato che, nel solco della tradizione toscana, rusticana, recitasse semplicemente Dante. Ecco: un analfabeta, sgravato di ogni ambizione professorale, lo leggerebbe meglio'. Anniversari e altri anniversari: l’estate riconduce alla Bella estate, a Pavese, di cui ricorrono i cento anni dalla nascita. 'L’ho conosciuto, uno sventurato incontro. Il professor Vigliani - frequentavo a Torino il D’Azeglio - insistette perché gli facessi avere un mannello di mie poesie, immediatamente prima di Laborintus. Gliele portai all’Einaudi, il giudizio fu negativo, d’altronde - come mi farà notare Fernanda Pivano - non potevano essere nelle corde di Pavese. Diversa l’accoglienza di Ungaretti. Il mio Pavese? Il poeta di Lavorare stanca, quel verso lungo, narrativo'. Estate, in Sicilia e non solo: il teatro greco in cartellone. Lei ha raccolto in Teatro antico le sue traduzioni. 'A due sono legato, in particolare, Le Baccanti di Euripide e Edipo tiranno di Sofocle. Tradussi Le Baccanti giusto quarant’anni fa, sollecitato da Luigi Squarzina. Era il Sessantotto, l’allestimento pose, va da sé, l’accento sul conflitto tra ordine e eversione, o contestazione, o libertà'. Dal teatro all’arte. La mostra dell’estate, a Genova, Palazzo Ducale, è di Carol Rama, un’icona della sua lunga stagione torinese. Un suo verso si addice a Carol Rama: 'Non ho amato l’amore, ma l’osceno'. 'Vero, sì. Non bisogna abbondare di cognizioni psicoanalitiche per sapere che, più o meno sublimata, la spinta creativa nasce dall’eros'. Estate, potrebbe essere l’ora delle ri-letture. 'Chi, come me, scrive, legge e rilegge libri ad hoc, funzionali a questo o a quel lavoro. Sto correggendo le bozze di Re Lear. Una traduzione affidatami per il teatro di Genova da Marco Scaccialuga. Viceversa non avrei forse riaperto Shakespeare, letto per intiero in giovane età'. Tra le sue passioni la musica: da Luciano Berio al Rap con Andrea Liberovici alla canzone per Sanremo, non ammessa. Il suo juke-box? 'Paoli l’autore, Mina la voce. De André? So di non essere ortodosso: è di gran lunga sopravvalutato, non è poi così originale. E Lucrezio: per Sergio Liberovici - che mi domandava quale autore elevare a spartito - tradussi i passi del De rerum natura relativi alle origini della musica'. Rieccoci nell’antichità. Circa gli otia: sul Mar Nero con Ovidio o nella villa di Licenza con Orazio? 'Due giganti. E con l’uno e con l’altro. Mi dividerei, saggiamente. Come facevano i miei genitori, e come mi sono comportato io una volta diventato padre: un po’ al mare, un po’ in montagna'." (da Bruno Quaranta, Sullo yacht con Re Lear, "TuttoLibri", "La Stampa", 02/08/'08)

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