venerdì 8 agosto 2008

Einstein parla italiano


"Stazione di Bologna, 21 ottobre 1921. Tre studenti con berretti goliardici aspettano il treno in arrivo da Firenze. Due ragazzi e una ragazza, Adriana Enriques. E’ lei che racconta: 'Si udì un fischio prolungato: il treno entrava in stazione. Emilio doveva osservare i viaggiatori di seconda classe, Anselmo quelli di prima. Io vagavo qua e là smarrita e trepidante. Ma quando da un vagone di terza classe scese un alto signore con l’aspetto imponente, il cappello nero a larghe falde come quello che portavano gli artisti, i capelli ricadenti fin sulle orecchie, non avemmo alcun dubbio. Tutti e tre, aprendoci un varco tra la folla, ci precipitammo verso quel signore. Era lui, non poteva che essere lui, Alberto Einstein. Non lo conoscevamo nemmeno in fotografia, eppure lo avremmo riconosciuto fra migliaia di viaggiatori'. Il passeggero di terza classe in quel 1921 ebbe il premio Nobel per la fisica. La motivazione citava il saggio sull’effetto fotoelettrico che Einstein aveva pubblicato nel 1905. Non la relatività speciale, uscita nello stesso anno, né quella generale, ultimata nel 1916 e confermata da Eddington nel 1919 osservando durante una eclisse totale la luce delle stelle deviata intorno al bordo del Sole. Troppo avveniristica, la relatività, troppo controversa. Accompagnato dal figlio, Einstein arrivava a Bologna per tenere tre conferenze proprio sulla relatività. Pronunciate in un 'italiano al crauti', come disse lui stesso, si susseguirono il 22, 24 e 26 ottobre, nell’aula magna dell’Archiginnasio gremita da un pubblico ammirato, curioso, talvolta scettico. Per Albert era un ritorno, il ritorno del trionfo – oramai era popolarissimo – e insieme della nostalgia e della gratitudine. Della nostalgia, perché da ragazzo, nel 1895, era vissuto a Pavia, quando suo padre cercava di mettere in piedi una fabbrica di motori elettrici (abitavano nella stessa casa che fu di Ugo Foscolo e fecero una gita a piedi fino a Genova!). Della gratitudine, perché dopo le conferenze di Bologna andò all’Università di Padova e rese omaggio a Gregorio Ricci-Curbastro, il matematico che con Tullio Levi-Civita gli aveva fornito lo strumento matematico per risolvere le equazioni della relatività generale. Le conferenze di Bologna si possono leggere ora in Einstein parla italiano. Itinerari e polemiche, a cura di Sandra Linguerri e Raffaella Simili. Sono affascinanti per lo sforzo di chiarezza divulgativa che le ispira e perché è un privilegio apprendere la più grande rivoluzione scientifica del Novecento dalle labbra di chi l’ha compiuta. Nel libro però c’è di più. Oltre al saggio iniziale che inquadra l’Einstein italiano, troviamo il carteggio – nella nostra lingua, usata in modo elegante e sicuro – con Federico Enriques e una decina di uomini di cultura del nostro paese. Tra questi, i matematici Tullio Levi-Civita e Guido Castelnuovo ('I meriti di Ricci, Levi-Civita e anche di Palatini per la ricerca della relatività generale non dovrebbero mai essere dimenticati') e il filosofo Benedetto Croce. Lettere tecniche, quando parla ai matematici. Ma anche romantiche, quando scrive a Ernestina Marangoni rievocando Casteggio, piccola città vista con gli occhi incantati della gioventù'; e malinconiche: 'E’ una cosa strana essere così vastamente noto e tuttavia così solo'. A Ernestina scrive nel 1946 anche per felicitarsi dello scampato pericolo nazista e allude alla fine del 'caro Mussolini' con il disegno di una forca e la didascalia: 'Come onestamente meritato'. Da riscoprire è la lettera che il 16 novembre 1931 Einstein indirizzò al ministro della Giustizia Rocco per indurlo a ritirare il giuramento di fedeltà al fascismo imposto ai docenti universitari: 'La ricerca della verità scientifica dovrebbe essere sacra a tutti i poteri statali; ed è nell’interesse supremo di tutti che i leali servitori della verità siano lasciati in pace'. Ahimé, su 1250 professori ordinari, solo 12 non giurarono. Il libro si chiude documentando l’accoglienza che la relatività ebbe in Italia, e lo fa riproponendo il dibattito ospitato sulla rivista "Scientia", cui parteciparono, tra gli altri, Corbino, Castelnuovo, Abraham, Eddington, lo stesso Einstein e il giovane Fermi (aveva 21 anni!). Quanto ai giornali, non tutti furono lungimiranti. Il 9 novembre 1919 il "New York Times" annunciava enfaticamente la conferma della relatività generale ottenuta durante l’eclisse di Sole. Seguì nella glorificazione il "Berliner Illustrierte Zeitung". Il "Corriere della Sera" parla della 'divinazione di uno scienziato'. Su "La Stampa" padre Boccardi, direttore dell’Osservatorio astronomico di Pino Torinese, liquida la relatività come una bizzarria. Su "Il Popolo d’Italia" Mussolini vede le cose a modo suo: 'Se per relativismo deve intendersi il tramonto del mito scienza intesa come scopritrice di verità assolute (...) niente è più relativistico della mentalità e dell’attività fascista'. Allora come oggi, chi meno capiva, più gridava." (da Piero Bianucci, Ecco il volto italiano di Einstein, "TuttoLibri", "La Stampa", 02/08/'08)

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