venerdì 29 agosto 2008

Rosso come una sposa di Anilda Ibrahimi


"Dell'Albania non si sapeva niente. Dal piccolo paese dirimpettaio martoriato dal nostro esercito, poi dalla guerra, infine dal comunismo totale di Enver Hoxha, per sessant'anni non sono arrivate parole né film né canzoni. L'unica immagine che per molto tempo l'Albania ha regalato agli italiani è stata quella indelebile delle navi brulicanti di vita e di ruggine che vent'anni fa fecero il loro ingresso nel porto di Bari. Da allora, però, a poco a poco è diventato parte del paesaggio letterario italiano. Gli esuli di prima della caduta del muro di Berlino e quelli della diaspora degli anni '90 hanno trovato una voce in italiano. Sono ormai numerosi e anche apprezzati. In odio ai cataloghi che annullano le differenze e avviliscono le ricerche individuali degli scrittori, ricorderò solo la scarnita voce di pietra del poeta Gezim Hajdari che da anni scrive le sue potenti liriche dall'esilio della ciociaria. Ora tutte le storie disperse dell'Albania del '900, Anilda Ibrahimi le ha cucite nel suo primo romanzo, Rosso come una sposa. Scandito da un ritmo veloce e da una scrittura ironica e maliziosa, questo romanzo è insieme un canto e una saga, un'epica collettiva e una commedia tragica, un congedo e un inizio. Al centro di tutto, fra le aspre montagne del sud del Paese, c'è un villaggio di nome Kaltra - insieme reale e immaginario - e al centro del villaggio una donna, Saba. E' lei l'eroina del romanzo: prima sposa bambina del vedovo della sorella, per pagare il prezzo del sangue, secondo il costume del luogo; poi moglie non amata e madre feconda, quindi suocera e nonna tirannica e imprevedibile (poiché solo quando diventa vecchia, alla donna viene concesso di divenire padrona della vita propria e di quella degli altri); infine fantasma perduto e inutilmente atteso. Attorno a lei una galassia variopinta di figlie, nuore, nipoti. Ma attenzione: benché una tribù di donne domini queste pagine con le sue vicende, ora tristi ora buffe, questa non è solo una storia di donne, ma anche la storia di una nazione. Gli eventi si susseguono come le stagioni e la Storia che si abbatte sul villaggio e sulla sua povera gente, sconvolgendo e mutando per sempre le esistenze di tutti. Nel romanzo c'è proprio tutto (la generosità un po' dissennata è la caratteristica, per me positiva, del primo libro dei veri scrittori): l'occupazione italiana e la guerra partigiana, il comunismo (che offre alla famiglia contadina di Saba la possibilità di un insperato riscatto sociale) e l'isolamento di una dittatura feroce e primitva, che trasforma l'Albania in una prigione. E c'è la caduta e la democrazia, che libera colei che è la voce narrante e che finirà per partire e stabilirsi, dopo vari vagabondaggi, a Roma. E' proprio lo strappo e la perdita definitva, il vero inizio del romanzo e per me la ragione principale della sua forza. E' esistita in tutto il bacino del Mediterraneo la tradizione letteraria del lamento funebre. Si cantano ai vivi le imprese dei morti e ai morti quelle dei vivi, affinché la catena delle generazioni non si spezzi. Quei versi in molte culture - e anche nella nostra - erano affidati alle donne. Nel romanzo è la protagonista, Saba, che si è assunta il compito di raccontare ai morti (ovunque siano) le storie dei vivi: di farli partecipare al mutamento, alle gioie e ai dolori di coloro che restano. Ma in realtà colei che si è assunta questo compito è Anilda Ibrahimi e il romanzo è proprio questo. Un canto ininterrotto e commovente che ricorda tragedie immani, vite distrutte dal pettegolezzo e dalla ragion di stato, dalla stupidità e dalla violenza, e però colorato da una gioia contagiosa, e destinato non solo ai morti rimasti dall'altra parte del mare e ora ritrovati in queste pagine ma soprattutto ai vivi: ai figli e a noi." (da Melania Mazzucco, Le memorie della sposa, "Il Sole 24 ore Domenica", 29/06/'08)

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