venerdì 29 agosto 2008

Poesie (1976-2007) di Eugenio De Signoribus


"Sarà anche vero che quella cosa chiamata poesia non è morta, e che vive un'esistenza clandestina. Ma siano tra i buoni auspici più recenti del suo futuro la nuova collana diretta da Alfonso Berardinelli per Scheiwiller (l'autore più giovane dei primi titoli pubblicati è il poeta e critico romano Paolo Febbraro - 43 anni - con Il bene materiale) e i nuovi libri di Rosita Copioli (ne ha parlato Pietro Citati in queste pagine il 25 giugno) e dello strepitoso - 88 anni - Nelo Risi, entrambi nello Specchio mondadoriano. Gli interrogativi sulla poesia si infittiscono. La diffusione crescente dei festival letterari sarà efficace fino al punto da incrementare ascolti, vendite, letture? E così la Rete, totem onnipresente, indiscriminato veicolo della cosa chiamata poesia. Quanto ai premi, è un ottimo segnale che sia finalmente consacrato da un importante riconoscimento nazionale il marchigiano Eugenio De Signoribus, poeta di vaglia e al tempo stesso marginale anche per scelta: 'non c'è nessuno qui! Non sono io / quello che ha il nome sulla porta!'. Poesie (1976-2007), la raccolta dei suoi cinque libri più un gruppo di inediti, la Bibliografia essenziale e l'Antologia della critica (Garzanti), l'altro ieri ha vinto il Premio Viareggio. Opera complessa, è un percorso trentennale in cui risuona la voce di un autore coerente all'insegna del 'proprio lessico legato / alla cerca del proprio vivere'. Nato nel 1947, già insegnante nelle scuole medie, 'il romito di Cupra Marittima' - così Andrea Cortellessa l'ha definito - ha scelto un'esistenza appartata: ma il centro, per lui, è la sua poesia, il suo ambito naturale. La critica non è stata avara e l'ha accompagnato con la stima di generazioni diverse (Giovanni Giudici, Fernando Bandini, Giacinto Spagnoletti, Paolo Zubiena, Rodolfo Zucco, Enrico Testa, Emanuele Zinato, Yves Bonnefoy e altri. Giorgio Agamben per esempio, nel 1992 scrisse di lui: 'forse il più grande poeta civile della sua generazione'. Governano l'agire creativo di questo 'io timido' reticenza, ironia, smarrimento, tristezza, malinconia, sensi di colpa, distacco, sofferenza, umiltà, mutezza: una filiera tipica del suo vocabolario. Il narciso della discrezione, in fuga 'da un più avanzato destino', si confessa: 'pietà se non sono un attore della certezza'. E si muove felpato tra le infinite quinte di un teatrino mentale controllato dalla griglia stretta e dal ritmo ben scandito di versi spesso plasmati nella forma cantabile di ariette, sonetti, canzonette. Al di là di queste sequenze, organizzate anche in distici dal vivace impatto epigrammatico, si intuisce una vita sospesa, tra parentesi (non a caso un segno grafico ricorrente) ma pronta a irrompere sulla scena. La pensosa frivolezza della prova di un abito con il sarto che pare Fred Astaire danzante e la bestiale crudeltà di ciò che accade in un mattatoio sono gli estremi emotivi di un'ampia costellazione di episodi. Affiorano inoltre eventi minimi della quotidianità e degli affetti familiari al cospetto degli incubi che la storia ripropone con la memoria degli orrori di cui è causa e testimone. Che fare? Ecco l'orma solidale che De Signoribus imprime alla sua poesia: 'mai vera casa avrò / né troverò mai sonno / finché non avrà sede /ogni terreno popolo'. [...]" (da Enzo Golino, De Signoribus il poeta che non c'è, "La Repubblica", 29/08/'08)

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