lunedì 12 maggio 2008

Scalfari racconta l'autobiografia


"'Quando ho cominciato a scrivere questo libro, non avevo un progetto preciso. M'è venuto naturale fare un salto all'indietro, un salto di ottant'anni, tornare al primo ricordo con mia madre. Un'urgenza dettata dall'anagrafe: vedo molti amici andarsene, e con loro anche un pezzo di me. Alla mia età si è consapevoli che tra pochi metri l'autostrada finisce, ti viene spontaneo voltarti indietro, verso la stagione in cui l'autostrada l'hai imboccata'. Eugenio Scalfari racconta la genesi di L'uomo che non credeva in Dio, autoritratto insolito che tesse insieme frammenti di vita e di pensiero, racconto e meditazione, tra emozioni private, vicende politiche e domande filosofiche sollecitate da quelle esperienze. 'Una singolare autobiografia', ha scritto Claudio Magris sul "Corriere", che sembra imprimere un 'sigillo di saggezza' alle tante battaglie giornalistiche, editoriali, politiche e culturali che hanno fatto di Scalfari una figura centrale della vita nazionale. Ad accoglierlo domenica pomeriggio alla Fiera del Libro è una platea affollatissima ed eterogenea, trecentotrenta posti già esauriti in mattinata e molti spettatori in piedi. In prima fila il vertice dello Struzzo con il direttore editoriale Ernesto Franco, l'amministratore delegato Antonio Baravalle e Roberto Cerati, presidente e testimone storico ('E' forse presuntuoso per me dirlo, ma penso che Giulio Einaudi sarebbe stato molto contento di avere Scalfari in catalogo'). In sala sono rappresentate le tre generazioni di italiani cresciute con "L'Espresso" e "la Repubblica", lettori incanutiti e lettrici giovanissime. 'Siete il pubblico più colto e civile d'Italia', dice tra gli applausi Ernesto Ferrero, timoniere della Fiera. 'Anche io sono cresciuto a pane e Scalfari, ma quando gliel'ho detto lui ha replicato "Spero non solo ...".' In tempi di 'urlo e furore' è bene avere una salda bussola civile. 'E in fondo anche questo libro', interviene Cerati, 'più che un'autobiografia è una guida alla formazione, una sorta di breviario da leggere lentamente', nel quale a ogni ricordo è associato un pensiero. Sollecitato dalle domande di Antonio Gnoli, Scalfari spiega l'originale fisionomia del suo libro. 'Ho tenuto il primo capitolo per alcuni anni nel cassetto, vicende private molto dolorose mi impedivano di lavorarvi con serenità. Poi l'ho ripreso con l'intenzione sì di tracciare un bilancio esistenziale, ma soprattutto di continuare la ricerca su cos'è l'io. Non avevo mai messo sotto la lente qual è il rapporto tra vita e pensiero, in che modo la vita può condizionare il pensiero e, viceversa, in che modo i pensieri riescono a condizionare l'esistenza. Il libro nasce da questa indagine, poi sono scaturite altre domande sul senso e sulla trascendenza, sul rapporto tra intelletto e istinto'. [...] Le pagine più toccanti ne L'uomo che non credeva in Dio, nota in chiusura Gnoli, investono il rapporto sereno e pacificato con la morte. Ne legge poche righe. 'Chi non cerca ricompense ultraterrene aspira soltanto all'innocenza dell'albero della vita. E i frutti di quell'albero, vedi che cosa strana, puoi gustarli soltanto quando sei più prossimo alla morte. Sono dolcissimi quei frutti, perciò io sostengo che la vecchiaia è una bella stagione e vale la pena di viverla in una quiete senza ignavia. La sola innocenza possibile è quella che ti fa scordare la terribilità della morte perché è anch'essa un atto della tua vita'. Un'incursione nelle parti più intime del libro che forse imbarazza Scalfari. Ma il lungo applauso del pubblico sembra confortarlo." (da Simonetta Fiori, La memoria e le idee, "La Repubblica", 12/05/'08)

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