giovedì 8 maggio 2008

L'antipolitica e il trono del vuoto


"E' paradossale, a pensarci, che quando, ancora oggi, ci azzardiamo a una 'apologia' dell'impegno politico siamo quasi costretti a ricorrereai grandi temi dell'etica classica (l'uomo in quanto dotato di logos non può che essere anche 'animale politico'; il logos essendo comune esige il perseguimento nella polis del 'bene comune'; chi non partecipa alla vita della polis è uomo inutile e ìidiota'; etc.), mentre a nessuno, per definire l''anti-politica', verrebbero in mente le immagini del saggio che abita gli spazi sereni e le 'cittadelle' della dottrina e da lì osserva i miserabili giochi della politica e della guerra. Ripetiamo stancamente l'antica scala dei valori della politica e abbiamo completamente dimenticata quella della sapienza nella sua dimensione di scholé, di otium (i due termini, greco e latino, sono equivalenti e implicano l'idea di un tempo di pace, libero per lo studio, rimandando, anche etimologicamente, al tema dell'arresto, dell'indugio paziente, in opposizione all'inarrestabile fretta che esigono i nec-otia). Ulteriore paradosso: è evidente che se gli uomini capaci di autentico otium, pervenuti a quella dottrina in grado di comprendere dall'alto le fatiche e gli affanni dei poveri mortali giungessero al potere, essi saprebbero anche governare questi ultimi nel modo migliore e fondare le istituzioni più salde e in pace. Ma ciò appunto è logicamente impossibile, poiché per natura quegli uomini non potrebbero interessarsi delle leggi positive della polis, e, quando anche, per vana ipotesi, lo facessero, entrerebbero in conflitto con interessi e appetiti, egoismi e ambizioni dei loro concittadini. E finirebbero col dover uccidere o essere uccisi. La strada della 'anti-poltiica' si svolge perciò tutta all'interno dello stesso agire politico; non si è trovata cura alla 'cura' (occupazione e angoscia) di quest'ultimo, né nel 'non-luogo' della contemplazione (che ancora sembra esprimersi in certa ideologia della scienza come pura volontà di conoscere), tantomeno nell''idiotismo' di chi, insofferente di ogni norma, interessato esclusivamente al 'suo', ritiene che il pieno soddisfacimento del proprio esigere e domandare sia l'unico mezzo per produrre universale armonia. Il termine 'anti-politica' andrà invece declinato come quel fattore e quell'energia immanenti alla politica per cui tutte le forme di quest'ultima appaiono sempre, necessariamente in dubbio o in crisi. Quello della crisi non è un tempo particolare che 'accada' alla forma politica, come un semplice passaggio di fase, ma indica quella distinzione o differenza, che la costituisce, tra sé, la pretesa di sovranità, e il multiverso delel forme di vita, al pressione incoercibile del 'cattivo nuovo' sull'antico magari 'buono', ancor più: l'imprevedibile azione che il non-ancora esercita sul nostro agire, e che è testimoniato dalle noste attese, speranze, paure. [...] " (da Massimo Cacciari, L'antipolitica e il trono del vuoto, "La Repubblica", 08/05/'08)

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