martedì 20 maggio 2008

Pietro Citati: l'università in guerra con Omero e Dante


"Come ogni anno, la produttività italiana è diminuita di qualche punto. Pochi anni fa, era lievemente inferiore a quella inglese, poi a quella francese e tedesca, poi a quella spagnola, poi a quella greca, poi a quella boema, poi a quella polacca, poi a quella bulgara, poi a quella moldava; e quest'anno si discute seriamente se sarà superiore o inferiore a quella del Ghana. Pare che abbiamo buone speranze. Tutti sanno qual è la ragione: la scuola e in primo luogo l'Università. E' il vero problema italiano: infinitamente più grave dell'inflazione, del tenore di vita, del bilancio dello stato, dell'Alitalia, dell'immigrazione clandestina, dell'immondezza che ha trasformato Napoli in una elegantissima pattumiera sotto il cielo. Nel dopoguerra, tutti i ministri della Pubblica Istruzione sono stati mediocri. Ma un tempo, i bigi e saggi ministri democristiani non osavano nemmeno sforare il vecchio edificio scolastico: sapevano che era pieno di crepe; e che un solo colpo di piccone avrebbe rischiato di distrugegre l'Università, il liceo, le medie, le elementari. Poi, non so come, presero coraggio: la parola 'riforma' li incantava: risvegliava in loro una specie di euforia e di ebbrezza, come se scrivere centinaia di leggi incomprensibili facesse conoscere loro la vera vita, - quella vita ardente che non avevano mai conosciuto. Così cominciarono le allegre catastrofi: quella della scuola elementare, a causa della moltiplicazione della maestra di base. Quella dell'esame di riparazione; e soprattutto (niente li affascina tanto) l'invenzione delle cattedre universitarie grottesche, come "Sociologia del gatto siamese" o il "Il computer applicato alla letteratura". Ma il vero, immane disastro, paragonabile a un terremoto del decimo grado della scala Mercalli, doveva ancora giungere. Otto anni fa, l'onorevole Luigi Berlinguer, circondato da una schiera di pedagogisti e seguito da Letizia Moratti, diede solennemente il primo colpo di piccone. Sono passati appena otto anni. E del vecchio edificio scolastico non resta più niente: tutte le tegole al suolo, muri maestri e pilastri divelti dal buldozer, mattoni in briciole, fango, poltiglia e, sopra l'immensa rovina, una fittissima nube di tenebra. Oggi, gli studenti universitari non leggono più: seguono piccoli corsi di poche settimane, che si susseguono vorticosamente; e alla fine, dopo aver saltabeccato da un piccolo corso ad un altro piccolo corso, giacciono a terra sfiniti, senza aver appreso assolutamente nulla. Come libri di testo, non adottano tutta la Divina Commedia, tutta l'Odissea, e Ernst Robert Curtius e Santo Mazzarino, come si faceva nel vecchio edificio scolastico: ma miserabili librettucci, che raccontano in cento pagine la Storia delle Crociate o i Moralisti classici. Testi, niente, perché leggere Dante o l'Odissea può riuscire pericoloso per le anime dei ragazzi innocenti. I pochi studenti dotati sono (giustamente) puniti: dopo aver studiato per otto anni, debbono affrontarne due di inutilissima pedagogia, prima di poter insegnare nelle medie o nei licei. Poi il ciclo si ripete all'infinito: pessimi professori universitari generano professori di liceo ancora peggiori, e questi allevano studenti per i quali scrivere una pagina in italiano è molto più arduo che ascendere l'Himalaya. Berlinguer e i suoi amici immaginavano che la socità moderna, o società di massa, o società globale, fosse il regno dell'immensa faciloneria, governata da un sovrano idiota. Leggere è inutile, studiare inutile, conoscere i classici antichi e moderni inutilissimo; basta ignorare l'italiano e blaterare sciocchezze. In realtà, la società moderna esige studi difficilissimi, molto più difficili di quelli di cinquant'anni fa: richiede un'assoluta precisione mentale, una cultura che abbraccia molte specializzazioni, il dono del pensiero analogico, e quello di scoprire il tutto nel minimo. L'università di Berlinguer e della Moratti prepara ingegneri incapaci di costruire ponti e case, storici medievali che ignorano il latino, fisici che confondono Einstein ed Euclide. In un disastro così totale, qualcosa di utile è naturalmente venuto alla luce. Come testimonia un'ottima inchiesta di Vladimiro Polchi pubblicata giorni fa su "Repubblica", gli studenti fuori corso sono diminuiti: cosa ovvia, se lo studio è stato ridotto a pochissimo. I laureati della laurea breve che appartengono alla facoltà di medicina (i sanitari, non i medici) trovano facilmente lavoro. Ma la colpa gravissima della Riforma Berlinguer è stata quella di trasformare l'Università in un cattivo liceo di provincia. L'Università non può accontentarsi di produrre infermieri e odontoiatri: persone utilissime; ma deve educare specialisti, studiosi di cose ardue e difficili, come quelli che l'Italia costringe ogni anno a emigrare in tutte le facoltà dell'universo. Così la Riforma Berlinguer va radicalmente riformata. Dobbiamo ripristinare i grandi corsi, lunghi sei o sette mesi, sugli argomenti fondamentali della conoscenza. Gli studenti devono tornare a leggere. Se qualcuno studia letteratura greca, o storia del pensiero economico, o storia della filosofia, tremila (non duecento) pagine di testi sono appena sufficienti. Qualche tempo fa ho letto che in Gran Bretagna il ministro dell'Istruzione progettava o progetta di abolire, nelle scuole medie e nei licei, lo studio delle lingue straniere che ormai sono perfettamente inutili (malgrado Dante, Racine, Cervantes e Goethe), visto che ormai tutti gli abitanti della terra parlano inglese. La settimana scorsa, ho appreso da "Repubblica" che il vento ardimentoso della demenza europea ha preso a soffiare anche in Germania, dove il governo ha deciso che le scuole costano troppo: quindi niente più bocciature, niente più voti, e se i voti sono bassi verranno rialzati dal preside. Consoliamoci. Ogni Paese ha il Berlinguer che si merita." (da Pietro Citati, L'università in guerra con Omero e Dante, "La Repubblica", 20/05/'08)

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