sabato 10 maggio 2008

E Cavalcanti stregò l'Omero americano

"Donna me prega, per ch'eo voglio dire
d'un accidente che sovente è fero
ed è sì altero ch'è chiamato amore:
sì chi lo nega possa 'l ver sentire!"

"Quando scopre per la prima volta i sonetti, le ballate e le canzoni di Guido Cavalcanti, a folgorarlo è 'la musica delle parole' che il poeta medievale fiorentino sapeva combinare con capacità prodigiose. E' ancora giovanissimo, Ezra Pound, e non sa che il futuro gli farà condividere ben altro che la ricerca di un 'linguaggio sonoro' compiuta dall'uomo cui Dante aveva dedicato le famose Rime: Guido, i' vorrei che tu, Lapo ed io .... Sarà infatti una simmetria di destini ad appaiare, a sette secoli di distanza, le vite dello stilnovista e dell'autore dei Cantos: entrambi segnati, oltre che dal dio della poesia, dall'accusa di scelte eretiche e dalla sofferenza dell'esilio. Ciò che, nel caso dell'Omero americano, ha significato 13 anni di carcerazione in un manicomio criminale e una lunga e liquidatoria messa al bando del suo lavoro, in quanto inquinato da una svolta politicamente scorrettissima, a difesa del fascismo. Lavoro considerato per questo patologico, insopportabile nonostante gli indiscutibili picchi di grandezza. E' una figura complessa e laterale, all'epoca piuttosto trascurata persino in Italia, quella nella quale si imbatte Pound sfogliando la Commedia all'università della Pennsylvania. E, se sarà Dante a ispirare l'impianto della sua opera fondamentale (i Cantos, appunto, costruiti in coerenza con lo schema di Inferno-Purgatorio-Paradiso adottato pure da Eliot), sono i codici letterari di Cavalcanti a suggestionarlo in profondità. Tanto è vero che si preoccupa subito di trasferirli nella poetica del Novecento. Lo giudica 'il più moderno' di quel tempo, perché ha elevato quasi a scienza lo sforzo di rendere cantabile la poesia, ma soprattutto perché un potente spirito filosofico ne irriga i versi. Un poeta filosofo, dunque, che riemerge dal passato remoto, nel quale si rispecchia forse anche per una certa inclinazione a trasgredire e per l'orgoglio intellettuale, olte che per la formazione eterodossa e di tendenze laiche (ispirate ad Averroè e avicenna), senz aremore a entrare in conflitto con il pensiero teologico corrente del Duecento e senza timore di uscirne sconfitto. A costo di incespicare in madornali errori ideologici. Una personalità solitaria e geniale, un uomo coltissimo cui il solitario, geniale e coltissimo Ezra Pound dedica traduzioni e analisi pubblicate a partire dal 1912 e che vanno aldilà della comprensione del testo concentrandosi - osserva la figlia, Mary de Rachewitz - 'per virtù chimica, spirituale e processo di natura sul miracolo che solo la musica è in grado di compiere'. E, coincidenza eloquente, dedica il suo primo studio sulla canzone Donna me prega (che sarà poi anche al centro dell'operina di Cavalcanti) agli amici Lawes a Campion 'come una preghiera per la rinascita della musica'. Ecco: il Pound che - diceva Mario Luzi - 'sa raccogliere pietre rare della letteratura di ogni tempo, riesce a includerle tutte e a tutte dà bellezza', innesta ben presto nel babelico disegno della propria poesia anche la disciplina delle note, I suoi versi hanno un linguaggio lirico che sembra scandito dal metronomo, e lo si verifica dalla Litania notturna a Venezia del 1908 a certe frantumate, ultime composizioni. E lui stesso, in una riflessione comparativa su Cavalcanti, parla di 'sung dramady', cioè di dramma cantato. Ancora: quando Pier Paolo Pasolini gli fa interrompere il 'tempus tacendi' nel quale si era rinchiuso durante la vecchiaia chiedendogli che cosa siano i Cantos, replica con una sola parola: 'Musica'. Una risposta che sarebbe sicuramente piaciuta a Cavalcanti, al quale Pound si era accostato poco a poco con una lunga marcia di avvicinamento. Dagli studi in America e in Inghilterra su Dante e i trovatori, alle ripetute ricognizioni sul campo per sondarne l'anima in chiave quasi medianica, con diverse tappe a Firenze e a Siena, accompagnato dalla compagna della sua seconda vita, la violinista austriaca Olga Rudge. E nei dintorni di Pisa, dove lo imprigionano per durissime settimane in un campo di concentramento Usa, pur senza strumenti a disposizione scrive versi straordinari, improntati guarda caso, a un febbrile ritmo di fuga: 'Formica solitaria d'un formicaio distrutto / dalle rovine d'Europa, ego scriptor'." (da Marzio Breda, E Cavalcanti stregò l'Omero americano, "Corriere della sera", 10/05/'08)

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