lunedì 19 maggio 2008

Aristotele nel Novecento di Enrico Berti


"Come è noto, per la Scienza moderna il compito della Fisica è unicamente la descrizione dell'ordine naturale. Mentre la Fisica aristotelica, in quanto Teoria del movimento, era diretta allo studio delle cause di quest'ultimo, Newton ha negato, in polemica con la Scienza aristotelica, che la Fisica sia Scienza delle cause. Kant ha espresso con la consueta lucidità il concetto newtoniano in questo modo: 'Con esperienze sicure e nel caso anche con l'ausilio della geometria, si devono ricercare le regole secondo le quali si svolgono certi fenomeni della natura'. Eppure, come ha mostrato Enrico Berti nel suo bel libro Aristotele nel Novecento, pubblicato da Laterza nel 1992 e ora ristampato, Aristotele è ben presente nella 'nuova epistemologia' del Novecento, a opera soprattutto di pensatori come Gaston Bachelard e Karl Popper, i quali hanno mostrato come la Scienza operi secondo procedimenti che non sono riconducibili al metodo induttivo-sperimentale teorizzato da Newton, e faccia ricorso a una pluralità di metodi, fra i quali spicca quello per 'tentativi ed errori', o, nel linguaggio popperiano, per 'congetture e confutazioni', che ricorda molto da vicino la dialettica antica, socratico-platonica e aristotelica. In questa prospettiva anche le metodologie praticate da Aristotele nello studio scientifico della natura vengono, in qualche misura, rivalutate. Così Thomas Kuhn ha raccontato che la prima idea di 'rivoluzione scientifica' gli è venuta proprio riflettendo sulla Fisica di Aristotele. Il moto di cui parla il filosofo greco, ha osservato Kuhn, è ovviamente diverso da quello di cui parlano Galilei e Newton, ma la concezione dell'inerzia tipica della Fisica aristotelica, per cui ogni moto richiede una causa, conserva una sua validità anche dal punto di vista della Fisica moderna, poiché il moto a cui questa si riferisce non è uno stato, come il moto inerziale di Galilei e Newton, bensì un mutamento di stato. Inoltre la Fisica di Aristotele è stata rivalutata non solo come la più conforme alla percezione sensibile, cioè come una 'Fisica ingenua' (Fisica ingenua è appunto il titolo di un libro di Paolo Bozzi, Garzanti, 1990, il quale suppone che le idee di Aristotele sul moto 'abbiano la loro radice biologica nel funzionamento dei nostri processi cognitivi'), ma anche come espressione di una 'alleanza' tra Filosofia e Scienza. Secondo Ilya Prigogine, alla luce del secondo principio della termodinamica, tale alleanza è più che mai necessaria: una alleanza non più ispirata alla tendenza galileiano-newtoniana ad applicare ai fenomeni terrestri il modello di quelli celesti; bensì ispirata alla tendenza opposta, quella di applicare i modelli terrestri anche ai fenomeni celesti, che è appunto la tendenza propria della Filosofia aristotelica. René Thom, a sua volta, ha dichiarato di aver trovato nella Fisica aristotelica degli spunti fondamentali: 'Il programma filosofico che io mi ero proposto per la Teoria delle catastrofi, cioè geometrizzare il pensiero e l'attività linguistica, questo programma si trova più che abbozzato, già largamente realizzato in Aristotele. [...] Aristotele è stato per secoli (forse per millenni) il solo pensatore del continuo; è questo ai miei occhi il suo merito essenziale'." (da Giuseppe Bedeschi, Una fisica del quotidiano, "Il Sole 24 ore Domenica", 18/05/'08)

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