domenica 18 maggio 2008

Gomorra - La normalità del male


"'L'importante è che sia clean, come dicono in America', pretende un manager (Massimo Emilio Gobbi) prima di concludere il suo affare con Franco (Toni Servillo). E intende che Franco può fare quel che vuole con le scorie industriali che gli ha appena affidato. Può portarle dove gli pare, inquinare come gli pare, uccidere chi gli pare. L'importante è che i documenti ci siano, che i permessi non anachino. Non c'è violenza materiale nelle sue parole. Ma nella sua richiesta di 'pulizia' sta il senso terribile del grande film di Matteo Garrone. Tratto dal libro di Roberto Saviano, e scritto appunto da Saviano e Garrone insieme a Maurizio Bracci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio e Massimo Gaudioso, Gomorra racconta una catastrofe. Lo fa con un dolore freddo, con una disperazione oggettiva, e però anche con una passione che pretende di restare viva, nonostante tutto. Il film si apre su un violentissimo regolamento di conti dalle parti delle 'Vele' di Scampia. Da lì, dalle case popolari degradate che stanno nella periferia nord di Napoli, poi quasi non esce più. In quell'universo separato, in quell'addensarsi di vita e di sangue, di miseria e di paura, di carne e di morte, si consuma una vicenda che però rimanda anche ad altro, a un 'fuori' che lo alimenta e se ne serve. Senza preoccuparsi di raccontare in modo lineare un intrico di storie che lineari non sono e non possono essere, Gomorra segue le tracce del 'ragioniere' don Ciro (Gianfelice Imparato), del sarto Pasquale (Salvatore Cantalupo), del piccolo Totò (Salvatore Abruzzese), dei balordi e sanguinari Marco (Marco Macor) e Ciro (Ciro Petrone), del laureato e disoccupato Roberto (Carmine Paternoster), e dei molti altri che si perdono e si confondono nell'abisso. Chi è Marco, che a 13 anni entra nella guerra che si è scatenata fra gruppi rivali? E chi sono le decine, le centinaia di adolescenti e bambini, che al pari di lui sono pronti a morire e a uccidere, come se niente altro avesse valore? Certo, non sono mostri. Anzi, vivono nella più netta, nella più stabile delle normalità: una normalità di giorni tutti consumati dall'abbandono e dall'avidità, e di relazioni e sentimenti consegnati al circolo vizioso della prepotenza e della corruzione. Non c'è via d'uscita per le loro vite. Non ce n'è prima di tutto nei loro occhi. Soldi, droga, armi, obbedienza, e poi di nuovo e sempre soldi, droga, armi, obbedienza: di questo è fatto il loro mondo, e attorno a questo si riconoscono amici o nemici, vincenti o perdenti. [...] A parte qualche cenno di speranza che si perde sullo sfondo, il grande film di Matteo Garrone e Roberto Saviano racconta una catastrofe, appunto. E si tratta di una catastrofe clean, come dicono in America." (da Roberto Escobar, La normalità del male, "Il Sole 24 Ore Domenica", 18/05/'08)

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