mercoledì 5 novembre 2008

Romanzi di Saul Bellow


"Come molti altri, pensavo che il nostro Paese fosse maturo, sul piano internazionale, per avere anch’esso un suo 'grand siècle'. Così scrive, in una lettera immaginaria a Adlai Stevenson, il protagonista di Herzog di Saul Bellow. Però gli tocca registrare che non ha funzionato, perché gli elettori preferirono concedere la loro fiducia ai beni visibili. E così le cose continuano come prima, con gente che pensa molto e non combina nulla. Il romanzo è del 1964, e molto opportunamente figura nel secondo volume dei Meridiani Mondadori. Non ha perso nulla della sua folgorante originalità; anzi, la citazione che ho proposto ne mostra la singolare attualità, non solo in questa prospettiva. Siamo agli inizi degli Anni Cinquanta, e Moses Herzog è un professore ebreo americano in preda a una sorta di crisi insieme concettuale e esistenziale. Ha abbandonato quella che poteva essere una brillante carriera; lo tormenta il fallimento del secondo matrimonio. Così, si ritira in campagna e letteralmente si immerge in quella che sembra una mania epistolare a senso unico. Le sue lettere, infatti, non partiranno mai, e i corrispondenti, vivi e in taluni casi addirittura defunti, spaziano da amici, conoscenti, sconosciuti, e autorevoli personaggi della cultura o della politica, senza contare la detestata ex moglie Madeleine, la quale, oltre a sottrargli la figlia, non ha mancato di tradirlo con quello che egli considerava un amico. Ha ragione Guido Fink, nella brillante prefazione al primo dei due Meridiani, a additare in Herzog uno dei vertici dell’opera di Bellow, tra i massimi scrittori del nostro tempo. L’irresistibile originalità di Herzog, come di tutta la narrativa di Bellow, sta nel far lievitare la storia privata, in apparenza persino banale, nel conferirle una lezione esemplare, quasi un dibattito sui valori, al tempo stesso risentita, dolente, e ironica, beffarda. Va da sé che qui conta in modo decisivo l’ebraicità di Bellow, decisivamente introiettata nella sua americanità. È un fatto che la narrativa contemporanea negli Stati Uniti deve al retroterra ebraico il suo originale rinnovamento; però, attenzione: accanto a Isaac B. Singer, da Bellow prediletto e tradotto dallo jiddish, compare l’ombra fraterna, per fare un nome, di Mark Twain. La maestria suprema, e a mio avviso unica, di Bellow, sta nel padroneggiare arte del racconto e riflessione speculativa, in una controllata e, direi, divertita simbiosi. Herzog, pur nella sua realistica vena, reca in sé una crisi che investe la condizione individuale e collettiva di un intero momento storico, e che sollecita inquietanti domande, mairassicuranti risposte. Se dovessi scegliere un altro dei romanzi decisivi di Bellow raccolti in questo volume, penserei a Il pianeta di Mr. Sammler. Ebreo polacco scampato all’Olocausto di cui reca il segno, l’intellettuale Sammler si trasferisce negli Stati Uniti dove pensa di realizzarsi in piena tranquillità. Si accorge traumaticamente che non è così. Da un lato, lui formatosi sul pensiero di Wells che gli ha impartito una sicurezza per così dire scientifica, vede crollare quella sicurezza alla luce del caos sociale e ideologico che si trova di fronte, al punto che farà proprie categorie spiritualistiche, addirittura immedesimandosi nella lettura dei mistici medievali. Dall’altro lato, Sammler rimarrà sconvolto dall’esplodere della rivolta nera. Già in Herzog il protagonista si poneva lucidamente il problema. Qui assistiamo a una sorta di epifania, quando Sammler, su un autobus di Manhattan, rimane ossessionato da un giovane - forse borsaiolo - africano americano che lo segue dopo essere sceso con lui, lo raggiunge in un androne e, senza una parola, si sbottona i pantaloni ed esibisce il suo cospicuo membro, salvo poi a scomparire. Non sapremo, e non è necessario saperlo, se si tratta di realtà o di immaginazione. 'Ah, questa creatura misteriosa, questo Herzog!', leggiamo nelle ultime righe di Herzog. In quanto a Sammler, dinanzi alla salma del nipote Flya riflette sul 'contratto' che la vita ci impone, sulle sue condizioni che, ripeterà quattro volte, 'conosciamo'. Il contratto che regola il significato e l’impegno dell’esistenza, che le dà un senso. Il pianeta di Mr. Sammler è del 1970; pensate, un anno dopo il Lamento di Portnoy di Philip Roth, l’ebreo Roth, che è tutta un’altra cosa, un supremo commediante." (da Claudio Gorlier, Bellow, resta un sogno il grand siècle, "TuttoLibri", 02/11/'08)

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