lunedì 24 novembre 2008

Chicago di Alaa al Aswany


"Dove non c'è libertà, sono spesso le opere letterarie a fare le veci del dibattito politico. I loro autori diventano dei simboli e la notorietà, locale e internazionale, che si sono guadagnati con i loro romanzi consente loro di dire cose scomode anche al di fuori del campo artistico. Nel mondo arabo il caso più recente e noto è quello dell'egiziano 'Ala a-Aswani, già autore del romanzo Palazzo Yacoubian (Feltrinelli) che ha avuto enorme successo di pubblico (oltre 40 mila copie solo in Italia) e dal quale è stato tratto un film altrettanto fortunato. Figlio di una famiglia aperta e formatosi nell'Egitto pluriconfessionale dell'epoca nasseriana, dopo gli studi all'estero e pur continuando la sua professione di dentista, egli si fa interprete del proprio Paese e dei destini della sua gente con un'immediatezza straordinaria. Nel secondo romanzo, Chicago (uscito sempre da Feltrinelli lo scorso maggio), trasferisce l'azione nella comunità di emigrati che dalle sponde del Nilo si sono stabiliti nella capitale dell'Illinois (come anch'egli ha fatto in gioventù) per completare gli studi. Molti dei temi già presenti nel primo libro si ripropongono, come la povertà, la corruzione, i disordinati comportamenti sessuali dei protagonisti, sempre privi di una valutazione morale ... Il fine dell'autore è quello di osservare e di fornire al lettore uno specchio nel quale vedere riflessa l'immagine della realtà, dolente e contraddittoria, come già altri grandi narratori arabi hanno fatto prima di lui. L'ambientazione americana gli offre però l'occasione di trattare con ancor maggiore spregiudicatezza alcuni delicatissimi problemi. Una società viva non può prosperare se si rifiuta di affrontare le proprie contraddizioni, celandosi dietro una cortina di reticenze radicate in un'intricata commistione di timori, interessi e rimozioni. L'espressione artistica si conferma una delle strade ancora percorribili perché nello stagno dell'impasse in cui si dibatte gran parte del mondo arabo venga almeno gettato un sasso che stimoli consapevolezza, riflessione e autocritica. Ma come vediamo dal coraggioso articolo recentemente pubblicato da al-Aswani su un giornale del Cairo, l'impegno di questo autore nel denunciare i mali della propria società, va ben oltre la fiction letteraria. Parlare del velo serve soprattutto per non parlare d'altro, l'ipocrisia di questa devozione puramente formale viene additata senza mezzi termini come un rozzo alibi dietro il quale nascondere realtà imbarazzanti. Non potendo più nascondere le notizie, può risultare molto comodo diffondere un senso di rassegnazione basato sul fatalistico abbandono alla volontà divina. Non significa banalmente riproporre lo slogan marxiano che bollava la religione come 'oppio dei popoli', ma smascherare la falsa coscienza con cui si continua a predicare bene e razzolare male: vizio antico dell'umanità, certamente, e difficile da estirpare, che se però è perpetuato in nome di Dio risulta ancora più sconcio, scandaloso e francamnete ributtante." (da Paolo Branca, L'ipocrisia dietro il velo, "Il Sole 24 Ore Domenica", 23/111/'08)
"Alaa Al Aswany: Why I Write" (da GuardianBooks)
"Where Alaa Al Aswany Is Writing From" (da NYTimesMagazine)

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