venerdì 14 novembre 2008

Atto di Stato. Palestina-Israele, 1967-2007. Storia fotografica dell’occupazione di Ariella Azoulay


"Moshe Dayan, affiancato da Yitzhak Rabin e Uzi Narkiss, varca la Porta dei Leoni nella città vecchia di Gerusalemme. E’ appena finita la guerra del 1967. I tre vincitori sono consapevoli della presenza dei fotografi (è stato lo stesso Dayan a convocarli) ma non guardano verso l’obiettivo; i loro occhi spaziano lontano, abbracciano tutto l’orizzonte: è uno sguardo da padroni, ma il loro sorriso è anche quello di chi si sente finalmente a casa. Comincia così, con questa immagine, l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, un’immagine che la studiosa israeliana Ariella Azoulay ha scelto come foto-simbolo per il suo libro Atto di Stato. Palestina-Israele, 1967-2007. Storia fotografica dell’occupazione (a cura di Maria Nadotti, Bruno Mondadori). Si tratta di 700 scatti che provengono dagli archivi di oltre 70 fotografi, quasi tutti israeliani (nelle strade dei Territori furono affissi cartelli con il divieto di fotografare). Azoulay è consapevole della loro intenzionalità, sa benissimo cosa significhi che siano gli israeliani a fotografare e i palestinesi a essere fotografati e del complesso intreccio che si stabilisce tra gli uni e gli altri. Ma proprio questa consapevolezza segnala il suo libro come uno degli esempi più efficaci di come si possano usare le fotografie per raccontare la storia. Non sono immagini che illustrano il testo, che servono da contorno alla narrazione: parlano da sole, ci restituiscono una realtà altrimenti destinata alle nebbie dell’incertezza e dell’ignoranza. A seconda dei punti di vista i Territori sono considerati 'occupati', 'liberati', oppure - ed è questa la terminologia ufficiale israeliana - 'sotto custodia'. Quale che sia la definizione da adottare, le immagini ci mostrano un’esistenza collettiva scandita dalla violenza e dalla brutalità (scontri, demolizioni di case, scioperi del commercio, arresti di massa), ma anche punteggiata da oasi di irreale normalità, da momenti di serenità inaspettati. Nonostante la censura, la propaganda, spesso a dispetto delle intenzioni di chi le ha scattate, quelle fotografie creano uno spazio di relazione tra vincitori e vinti, consentono a chi è stato ridotto alla condizione di apolide e privato della cittadinanza di trovare uno spazio pubblico in cui emergere dall’invisibilità e dalla rimozione. 'Atti di Stato' sono quelli che in altre circostanze sarebbero definiti come crimini e che invece possono essere impunemente commessi da individui a cui lo Stato garantisce la piena immunità. Ce ne sono molti nel libro. Due per tutti, non cruenti e proprio per questi esemplari: la famiglia cacciata dalla propria casa perché i soldati israeliani possano assistere ai mondiali di calcio; il piccolo sciuscià palestinese che lucida gli scarponi di un civile israeliano, travestito da ufficiale. Una domesticità infranta, un’infanzia abbandonata: la riproposizione, per noi italiani, degli incubi di un passato non ancora cancellato." (da Giovanni De Luna, Vivere sotto custodia, "TuttoLibri", 08/11/'08)

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