'A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti'
"I versi foscoliani hanno imposto a generazioni di italiani di temprare le loro virtù civili con la contemplazione commossa delle tombe di grandi spiriti. Ma che cosa rivelano a un occhio appena smaliziato queste urne, che spesso sono dei capolavori di magniloquenza kitsch? A chi sappia interrogarli, i monumenti funebri aprono squarci sull'inconscio e la mentalità collettiva, si rivelano prodighi di piccoli scoop, segreti imbarazzanti, intrecci surreali, degni della più arrischiata fantasia romanzesca. Cimiteri si intitola - lapidariamente, è il caso di dire - la nuova Spoon River che Giuseppe Marcenaro ha scritto con gran gusto, e l'apprezzamento non suoni cinico o irrispettoso per i defunti, saltando da Rimbaud e Valéry alla moglie di Brecht, da Rasputin a Robert L. Stevenson e al trombettiere italiano del generale Custer: tra rimpianti più o meno autentici per chi se ne è andato e follie celebrative. Questa volta a parlare non sono i trapassati, ma i monumenti che dovrebbero perpetuarne il ricordo. Con i loro eccessi barocchi, le tombe diventano il fedele autoritratto della megalomania dei committenti, e insieme
l'occasione indiziaria per sorprendenti approfondimenti biografici. Esemplare il caso di Garibaldi, che a Caprera aveva predisposto minutamente la cerimonia della propria cremazione, precisando il tipo di legno che avrebbe alimentato la pira: 'il ginepro resinoso, il lentischio profumato, il mirto sacro, qualche corbezzolo e rami di pino'. Quasi una prefigurazione della miglior lirica dannunziana. Tuttavia il generale dimenticava che il mito richiede l'incorruttibilità del corpo dell'eroe. Fu tradito dai figli Menotti e Ricciotti, i quali optarono per l'imbalsamazione. Carducci insorse sdegnato, citando la pira di Patroclo sotto le mura di Troia. Per tranquillizzarlo, si fece circolare la voce che dopo le esequie il Grande sarebbe stato incenerito. L'orgoglio nazionalistico sembra autorizzare e anzi incoraggiare ogni genere di messinscena. A Firenze, Santa Croce è un'eccellente Disneyland
dell'esibizione funeraria, ma raramente i grandi che vi sono allocati spirarono in loco, con l'eccezione di Machiavelli. Foscolo, morto nel 1827, vi giunse solennemente solo nel 1871. Quanto a Rossini, è dato presente al Père Lachaise di Parigi: che cosa dunque lo rappresenta a Firenze? Le tombe vuote non sono mai un problema. Winckelmann, 'insigne interprete dell'antichità', sbudellato in una locanda di Trieste da un cuoco che aveva reagito con troppa foga alle sue avances, attese quarant'anni che la città gli erigesse un monumento museale degno di lui. Quando tutto fu pronto, le sue ossa non si trovarono più, ma si procedette all'inaugurazione con immutata solennità. Visitare il Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa (ora dissacrata dai Fast Food), significa misurarsi con la complicata manualistica che stabiliva diritti e precedenze della più esclusiva nomenclatura sovietica: un gioco dell'oca in cui si poteva soltanto arretrare, commenta Marcenaro. Stessa cura cerimoniale a Parigi, dove Napoleone non poteva riposare in uno dei cimiteri che egli stesso aveva fatto costruire in ossequio ad esigenze razionali, ma sotto la cupola barocca del Dôme degli Invalides, eretto a fine Seicento dal Re Sole. Sigillato in sette tombe di materiali diversi, gli fanno doverosa corona i marescialli di Francia completi di piume, sciarpe e medaglie. Poi ci sono i cimiteri trendy, ideali per i flâneur eruditi, come il Père Lachaise, che è insieme parco, orto botanico e teatro di celebrità che per snobismo non esitano a mescolarsi a gente comune; o quello londinese di Highgate, dove riposa Marx con i suoi cari, ivi compresa la fedele e apprezzatissima governante Helen Demuth, madre di un figlio suo (com'è noto, Engels se ne era assunto la paternità, almeno fino a quando restò in vita, per salvare le apparenze). Altrettanto appartato il cimitero moscovita di Novodevicij, specializzato in scrittori e musicisti: Gogol', Cechov, Stanislavskij, Bulgakov, Majakovskij ... Durante un soggiorno a New York, il poeta aveva avuto una figlia da una connazionale sposata a un inglese. Morta la madre, questa figlia negli Anni 80 fece numerosi viaggi a Mosca come turista, portando ogni volta con sé degli scatolini. Contenevano le ceneri materne, che lei si affrettava a versare in piccole buche nei pressi della tomba paterna. Marcenaro chiude efficacemente la sua scorribanda oltreterrena al Cairo, in quella simbiotica Città dei Morti in cui si vivono trecentomila persone, tra parabole satellitari, vivaci mercati e scuole coraniche. È lì che ogni sera Seyedda, madre di sei figli, ritira il banchetto su cui vende biscotti e fazzoletti e sigilla dall'interno la tomba-casa per proteggersi dai malintenzionati." (da Ernesto Ferrero, Nell'altro mondo sono tutti megalomani, "TuttoLibri", 01/11/'08)
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