martedì 25 novembre 2008

Cina Tibet di Alberto Giuliani e Filippo Romano


"Due realtà completamente diverse; nei paesaggi, nella cultura, negli uomini. Sembrerebbe quasi che la geografia si sia divertita a mettere così strettamente a contatto questi due mondi che la storia si è invece impegnata a separare. La Cina da un lato, con il suo sviluppo vertiginoso, un comunismo che insegue il capitalismo nella voracità e nella velocità dei consumi; il Tibet dall’altro, sprofondato in un tempo immobile, fuori dai circuiti della globalizzazione e dalle impazienze della civiltà occidentale. Diversi, opposti e ora anche in lotta tra loro. A mandare in frantumi queste due icone, a sottrarre quel confronto alla suggestione che deriva dalle differenze della loro storia e dalle rappresentazioni che solitamente circolano qui da noi, intervengono ora le immagini scattate da due fotografi italiani e raccolte in un libro appena pubblicato - Alberto Giuliani, Filippo Romano, Cina Tibet (Ega). Le foto sono state fatte in un arco di tempo che copre tutti questi primi anni del nuovo millennio e ci restituiscono quindi la più stretta contemporaneità. Con il loro sguardo partecipe e solidale (il volume si inserisce nella campagna di Amnesty International per i diritti umani in Cina, lanciata in occasione delle Olimpiadi di Pechino del 2008), i due fotografi hanno fermato infatti una realtà diversa (la prostituta cinese nelle strade di Lhasa, o il gruppo di contadini che lavora un terreno abbandonato, in un’area in via di riqualificazione di Guangzhou dove, a ridosso di campi incolti, sorge il nuovo distretto finanziario della città) e ci suggeriscono una contrapposizione meno rigida, un intreccio tra dinamismo e staticità, tra arcaismi e modernità che percorre entrambi i grandi Paesi. Certo, le immagini del Tibet si soffermano più a lungo su monaci e monasteri, su paesaggi sconfinati in cui si aggirano pastori nomadi, uomini, donne e bambini fatti piccoli, piccolissimi dalla maestosità di quei territori; quelle della Cina inseguono le gigantesche infrastrutture (ponti, autostrade, il treno ad alta velocità Maglev a levitazione magnetica), i nuovi centri commerciali, i simboli di uno stile di vita totalmente occidentalizzato (la Ferrari, gli aperitivi al bar ...). Pure, scorrendo tutte le pagine del libro, l’impressione più forte è che entrambe le realtà siano state scavate nel profondo delle loro identità dall’affermazione prorompente di un mercato, siano state scaraventate in una spirale di consumi, di mode, di comportamenti in cui bruciano, come in un falò, tutte le vecchie tradizioni, le antiche frugalità contadine, quasi che l’antica frattura tra nomadi e sedentari si ricomponga e si annulli nell’abbraccio con la contemporaneità. Così, alla fine, l’immagine con cui il libro si chiude (una donna tibetana che, a Lhasa, affida al vento le sue preghiere) sembra una sorta di congedo, velato di mestizia come se quel vento stia per portarsi via un mondo e una storia." (da Giovanni De Luna, Un filo rosso fra Cina e Tibet, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/11/'08)

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