sabato 15 novembre 2008

Alfabeti di Claudio Magris

"Una volta, in Cina, una studentessa dell’università di Xi’an mi ha chiesto cosa si perde scrivendo. Ardua domanda kafkiana. E leggendo? Una volta Borges ha detto che lasciava ad altri di gloriarsi dei libri che avevano scritto e che la sua gloria erano invece i libri che aveva letto."

"Per chi suona la campana di Claudio Magris? Per coloro che imbrattano la parola, che la umiliano, che le tolgono il respiro. La sua nuova avventura intellettuale, la zattera che impavidamente sospinge nelle acque limacciose, tenebrose, del nostro tempo, non a caso è denominata Alfabeti. E non a caso l’unico scritto in cui il vocabolo alfabeto ricorra (nel titolo) è un omaggio alla Bibbia, allo scrigno della Parola, 'un testo - come sapeva Brecht - che dice brutalmente e senza indorare la pillola la nuda verità della vita e della morte, l’eros e la violenza, l’incanto e il sapore di cenere'. Alfabeti, una raccolta - avverte Magris - di 'saggi di letteratura'. Ogni saggio una porzione di debito sciolto nei confronti della letteratura. Ossia della dimensione che consente al timoniere di Danubio di scoprirsi 'persuaso'. Se c’è un’opera che riconosce come cardinale, questa è la tesi di laurea del filosofo goriziano Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Lì a significare l’aspirazione massima: raggiungere l’occhio del ciclone, l’angolo, la zona, a prova di tempesta, di stordimento. Dove forzare la sorte se non sulla pagina? Dove, se non sulla pagina, evitare l’annientamento del presente, affermarne l’unicità, la signoria, la fecondità, sottraendolo ai richiami, ai vincoli, del passato come del futuro? Vivere, per Magris, è possedere gli 'alfabeti', le parole che, montalianamente, aprono, disserrano, smascherano, spalancano l’agone. Calvino attribuiva alla letteratura la missione di legiferare il caos, la voce triestina sembra rifuggire o considerare secondariamente il fattore normativo. Il bricoleur di Se una notte d’inverno un viaggiatore qui è appena sfiorato. Opposto, tra gli altri, a Camus e a Sábato, che nel loro sottoscala non esitano a scendere, scoprendo cose 'oscure o dimenticate'. Quando ciò non accade o accade con speciale sorveglianza, quando dal sottoscala emergono troppo poche di quelle cose, 'qualcosa manca nella pur alta scrittura, come per esempio in quella di Calvino», avverte l’argonauta degli Alfabeti. Il vello della 'parola', la sua ricerca, è l’infinito viaggiare di Magris, un destino inoculatogli dalla città natale, 'città di carta' per eccellenza. Consapevole, radicalmente consapevole, 'di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene', come auspicava Cesare Pavese, fra gli assenti negli Alfabeti, eppure - le segrete corrispondenze della letteratura - ombra vividissima. Di frammento in frammento, raccolto nell’officina di questo o di quell’artigiano della parola, da Omero a Salgari ('Per i greci, il mondo era abbracciato e racchiuso da un fiume, Oceano; per me, il fiume che circonda la Terra è il Gange, col cui grande fluire cominciano I misteri della giungla nera, il primo libro che io abbia letto e dunque destinato a rimanere in qualche modo per sempre il Libro»), da Musil a Borges, da Thomas Mann a Biagio Marin, al - pare - prediletto Kafka, l’evangelico suo paradosso, perdere la vita per trovarla, che in Dietro le parole Magris innalza: 'Perde la vita perché tutto teso a scoprire la verità che dovrebbe giustificarla'. Perché che cosa ne è del Verbo se non si fa carne? Che cosa ci 'giustifica' se non il buon combattimento per restaurare il filo del discorso?" (da Bruno Quaranta, Magris, L'oro è nel sottoscala, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/11/'08)

1 commento:

antonella zatti ha detto...

Segnalo, sperando di fare cosa gradita, un post su Claudio Magris:

http://khayyamsblog.blogspot.com/2009/06/in-viaggio-nella-parola-con-claudio.html

Antonella Zatti