"TuttoLibri" ("La Stampa", 15/11/'08)): anticipazione da Orgoglio di classe di Margherita Oggero (Mondadori)
"Primo giorno di scuola in una qualunque classe di prima media: per i professori è il giorno dell’esame. Ventitré, venticinque (a volte anche di più) preadolescenti che valutano lo sconosciuto che hanno di fronte non in base a quello che dice, ma secondo altri parametri che vanno dall’aspetto fisico e dall’abbigliamento (in una parola tanto di moda: dal look) sino al linguaggio non verbale, di cui sono acuti intenditori. Se il docente non è un figone abbronzato dai muscoli scolpiti, secondo la discutibile estetica del nostro tempo, se la docente non presenta i segni esteriori della contemporaneità - abbigliamento tutto firmato o del tutto smandrappato, almeno un tatuaggio in un punto visibile e/o un piercing - il giudizio immediato è che l’uno o l’altra sono davvero degli sfigati. Già lo sapevano prima, i ragazzini, perché nella percezione collettiva i prof sono figure tra il patetico e l’indisponente. Patetici, perché nessuno di loro ha un Suv, né una villa con piscina in Costa Smeralda; indisponenti perché cominceranno subito a pretendere questo e quello, a sciorinare affermazioni assurde, tipo che non si debbono passare troppe ore davanti alla tv, che non è il caso di smanettare tutto il pomeriggio sui videogiochi e poi, poveri fessi, vieteranno l’uso dei cellulari in classe. Divieto ridicolo, perché loro, i ragazzini, conoscono benissimo il modo di aggirarlo. Ma come mai questi ragazzini sono passati da una tiepida fiducia nei confronti del maestro a un atteggiamento di cinica e supponente indifferenza se non di vera insofferenza davanti ai professori? La preadolescenza e l’adolescenza sono età difficili e spesso dolorose, in cui l’incertezza su di sé e sulle proprie capacità, l’indeterminatezza dei progetti di vita, lo smarrimento di fronte alla caduta della rete infantile di protezioni generano un atteggiamento di strafottenza, di violenza verbale e gestuale, di diffuso rancore nei confronti degli adulti, percepiti come presenze ostili, come alieni cui nulla li lega. Lo sbozzolamento produce quasi sempre delle ferite che passano inavvertite anche agli occhi degli adulti più accorti e sensibili, e la fragilità, il senso di inadeguatezza si trasforma nell’arco di pochi mesi in aggressività immotivata o in rifiuto di comunicare. Silenzi cupi o infastiditi durante il pasto serale con i genitori, porte sbattute, gelosa difesa della propria privacy, disordine esibito come segno di autoaffermazione: tutto questo a casa. A scuola invece il bisogno di fare branco, di trovare un nemico contro cui misurarsi, o un capro espiatorio su cui esercitare la propria volontà di sopraffazione. Intanto la tempesta ormonale provoca sconquassi, con pulsioni spesso mal interpretate e gestite, con malesseri fisici inaspettati, mentre d’altro lato nascono le prime vere attrazioni sentimentali, che non sempre sono corrisposte. Le ragazzine che, fino a qualche decennio fa, erano più disponibili all’ascolto e più aperte dei coetanei maschi, hanno via via assunto atteggiamenti di spavalderia e aggressività sempre più marcati, sia nel linguaggio sia nel comportamento, tanto che oggi, come strascico negativo di un femminismo stravolto, il bullismo non è più una prerogativa prettamente maschile. In questo quadro complesso di trasformazioni, cui bisogna aggiungere la molteplicità di stimoli offerti dai media e i relativi bisogni indotti, il nuovo tipo di scuola, anziché incuriosire, viene respinto quasi a priori come una pizzosa perdita di tempo, come un impedimento alla libera realizzazione dei propri interessi e della propria personalità, come uno scotto da pagare all’assurda civiltà degli adulti. Allora è proprio qui che deve scattare l’orgoglio della professione, è nei confronti di questo segmento di umanità giovane e confusa e irrisolta e ostile ma potenzialmente 'catturabile' che le prof. e i prof. devono abbandonare gli atteggiamenti rinunciatari o di routine e rimettersi invece in gioco. [...]
In questo primo incontro-scontro con la classe ogni professore mette una pesante ipoteca - positiva o negativa - sull’efficacia del suo lavoro nell’anno in corso e nei due anni a venire: se riesce a essere coinvolgente e persuasivo, se riesce a dimostrare con le sue azioni che non è un nemico o un secondino, ma una guida autorevole, se ha la forza di scoraggiare subito ogni tracotanza, gli allievi finiranno con l’affidarsi a lui, percependo, magari in modo confuso e controvoglia, che proprio di un sostegno di questo tipo hanno bisogno per crescere. E in questa 'tenzone' i prof. non devono dimenticare che i ragazzi di oggi hanno modalità di percezione e di apprendimento assai diverse rispetto al passato: sono più intuitivi, più pronti nell’afferrare le varie facce di un concetto o di un problema, ma incontrano maggiori difficoltà nei processi logico-deduttivi, spesso non riescono a fissare a lungo l’attenzione su un dato argomento e soprattutto hanno assimilato la convinzione che si possa imparare senza fatica. Il che talvolta può essere vero, ma nella maggior parte dei casi non lo è affatto. Il processo di apprendimento ha molto in comune con una seria pratica sportiva, che non può prescindere dalla fatica degli allenamenti, dai tentativi di migliorare le prestazioni correggendone gli errori, dalla ripetitività di certi esercizi, dalla disciplina nel seguire orari, diete appropriate, giusti ritmi di lavoro e di riposo.
E come l’acquisizione di una abilità fisica apporta non solo autostima ma anche veri momenti di felicità, così pure dall’apprendimento si possono trarre motivi di soddisfazione e autentici sprazzi di gioia quando finalmente si riesce a padroneggiare certi concetti, a capire certe poesie, si arriva a scoprire l’eleganza e la pregnanza di certe formule matematiche, chimiche o fisiche. Contro l’opinione largamente condivisa che il sapere non conti, perché non regala soldi facili o visibilità mediatica, i prof. devono recuperare l’orgoglio di ciò che sono, di ciò che amano, della professione che hanno scelto, se l’hanno scelta con convinzione e non solo come ripiego in mancanza di meglio. Ma anche in quest’ultimo caso, visto che sono arrivati a una laurea, un certo rispetto e fiducia nella cultura devono pure averceli e, volendo, possono comunicarli ai loro allievi. (Sebbene io abbia smesso di insegnare da parecchi anni, non me ne sento ancora fuori, e l’orgoglio della professione, che è una tra le più belle e gratificanti, continuo a provarlo)." (da Margherita Oggero, Cari prof., ci vuole orgoglio di classe!, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/11/'08)
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