lunedì 30 giugno 2008

Ricordo di Luigi Meneghello (1922 - 26 giugno 2007)


"Luigi Meneghello ha scritto molti bei libri, e due in particolare che sono ormai dei classici, e ha scritto molte e acutissime (e anche spesso divertentissime) osservazioni su quei libri e sui temi che essi affrontavano, in particolare sul primo, Libera nos a malo. Si parla spesso male di un'iniziativa 'piacentina' degli anni Sessanta: la rubrichina (solo due brevi elenchi di titoli) in cui si segnalavano i 'Libri da non leggere' e però anche i 'Libri da leggere', e naturalmente ci si ricorda solo della parte negativa e si dimentica che in quella positiva apparvero i titoli più insoliti e nuovi della fioritura letteraria di quegli anni, che era in buona parte soffocata dall'invadenza 'neo-capitalistica' degli avanguardisti '63. Ho scoperto Libera nos a malo grazie a quella rubrica, ed era ovviamnete un 'Libro da leggere'. Un libro magnifico, l'addio a un'Italia che stava rapidamente scomparendo e di cui noi eravamo figli, l'Italia che avevano amato, per esempio, Carlo Levi (riconoscendo l'armonia e compiutezza della sua civiltà, varia e ricca, e però di radici comuni per le sue componenti contadine e artigiane) e Pier Paolo Pasolini con nostalgia struggente per quel che ne vedeva morire. E' tra loro - diciamo tra Un volto che ci somiglia di Levi e Amado mio di Pasolini - che mi viene di collocare Libera nos a malo, che è ben più ambizioso di quei testi, che è una formidabile sintesi, geniale per capacità di scavo e per ironica vitalità. C'era in Malo qualcosa che ci riguardava tutti, tutti noi venivamo da Malo: in Malo c'erano la nostra storia, le nostre contraddizioni e i nostri conflitti, la nostra bellezza e la nostra sgraziataggine, la nostra fame e la nostra sazietà, la nostra fatica e la nostra festa. C'era l'umile Italia che non era ancora stata travolta dalla malefica ossessione che, appena qualche anno prima, all'uscita dalla guerra fredda, nel pieno dell''era della plastica' (Vonnegut) e nell'irrompere di un nuovo corso della storia che in Italia chiamammo miracolo economico, Chiaromonte battezzò 'egomania' nel Tempo della malafede e più tardi Lasch avrebbe definito una volta per tutte come 'cultura del narcisismo'. La comunità era la chiave. L'esperienza individuale, anche la più autonoma, era inserita, anzi prodotta, in una rete di legami che costituivano un insieme. Per quasi tutta l'Italia si poteva ancora parlare di civiltà comunale e in una gran parte dell'Italia, ma non in tutta, l'ordine economico era quello della povertà e non della miseria, una distinzione che è tornata in auge di recente con Ivan Illich. Malo dunque come sintesi e metafora dell'umile Italia, Malo come nostro passato e come nostro emblema. Come nostra 'lingua' e non soltanto dialetto. Malo che ormai frotte di studiosi hanno affrontato e studiato nei suoi tanti aspetti, anche se a volte senza poterne più cogliere la novità: la rappresentatività collettiva, e quel valore che ci sembrò non locale ma nazionale. Tra le conseguenze di Malo - degli eterni conflitti della storia e delle eterne differenze tra chi ha e chi non ha - ci sono anche I piccoli maestri, l'altro capolavoro. In Malo infatti non poteva non allignare anche l'eterna 'autobiografia della nazione', il fascismo. Abbiamo presto condiviso in passato con Italo Calvino la convinzione che il grande romanzo sulla Resistenza fosse Il partigano Johnny di Fenoglio, venuto da Alba, una Malo delle Langhe. Ma subito dopo - o magari al fianco - ha trovato posto ben presto I piccoli maestri, dove la dimensione del gruppo prevale sul personaggio, e il tono è dell'avventura adolescente, del romanzo di formazione. Anche qui però c'entra e come la politica, c'entra la polis. Mi commosse sorattutto e mi commuove ancora di I piccoli maestri, il confronto generazionale, il passaggio di testimone e di consegna, il concordare di partenze diverse dentro una storia comune, il personaggio-chiave di Toni Giuriolo di cui, letto il romanzo, chiesi notizie a Aldo Capitini suo maestro e mio, anche se appartengo a una 'leva' successiva a quella dei 'piccoli maestri' allievi di Giuriolo. Di lui Meneghello scrive che 'era un italiano calmo. Sdrammatizzava le cose che noi eravamo inclini a drammatizzare'. Certamente Giuriolo era un italiano di solido ethos ('Ciò, che ethos gavìo vialtri?' è una battuta chiave per capire il 'piccolo maestro' Meneghello ...), addirittura un italiano non violento e che però prende parte (al contrario di Capitini) alla Resistenza, e si assume anzi le responsabilità di un capo, anche senza sparare. [...] Ecco, oltre la meraviglia e lo splendore del linguaggio meneghelliano, il nucleo della sua opera potrebbe venir riassunto in queste due 'voci', Malo e Giuriolo. Il ritratto di una polis e un'idea di politica, di intervento nella storia e nella realtà. Tra Libera nos a malo e I piccoli maestri c'è il filo rosso della Storia con la maiuscola, perché anche la piccola storia è grande storia. Tra Malo e l'Altopiano - che è poi lo stesso del nostro amato e compianto Rigoni Stern, mentre la pianura e le colline sono le stesse dei nostri amati Zanzotto e Bandini - si consuma la storia, e si cambia di scenario. [...] Non mi è mai stato chiaro del tutto perché Meneghello abbia scelto così presto di esiliarsi a Reading, ma certamente la delusione per ciò che Malo e l'Italia erano diventate o erano destinate a diventare c'entrò per qualcosa, e forse per molto o per moltissimo. In Inghilterra le responsabilità erano altre e non erano così pressanti e 'sociali' di fronte a una Malo-società che diventava il Nordest e di fronte a un'Italia dove i Giuriolo e i Capitini non potevano che restare minoranza. Si parla ovviamente di minoranze etiche ('benefiche', come diceva Salvemini contrapponendole alle 'malefiche'), e la nostra domanda dovrà continuare a essere la stessa di Meneghello: 'Ciò, che ethos gavìo vialtri?'." (da Goffredo Fofi, Di Malo in peggio, "Il Sole 24 Ore Domenica", 29/06/'08; dall'intervento tenuto al convegno "Tra le parole della virtù senza nome. La ricerca di Luigi Meneghello")
"Meneghello: Fiction, Scholarship, Passione Civile", convegno all'Università di Reading

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