domenica 29 giugno 2008

Alice Munro, la Signora del racconto


"Arriva dal Canada Alice Munro. Quando nessuno ormai ci sperava, ha detto di sì, lei che non ama affrontare lunghi viaggi, e sarà a Pescara, la prossima settimana, per ritirare il premio vinto con il suo ultimo volume, La vista da Castle Rock (Einaudi),a coronamento di una straordinaria carriera che la colloca tra i massimi scrittori di short stories in lingua inglese del XX secolo. Autobiografia e storia di famiglia, momenti di vita vissuta ed episodi dell'Ottocento, trattati con una tecnica sui generis - realistica nell'effetto complessivo, ma espressionistica nel montaggio - fanno di questo libro un memoir e allo stesso tempo una ricostruzione in forma di narrazione. La sola (siamo più di uno a esserne convinti) che possa confermare il famoso dictum di William Faulkner sul vecchio Sud: 'Il passato non è morto: non è nemmeno passato'. Alice Munro si allontana per una volta, e solo in parte, dal paesaggio delle precedenti raccolte. Ma a ben vedere cambiano solo la scala e l'orizzonte della memoria. Dalle strade delle piccole comunità disseminate nelle campagne dell'Ontario alla rotta percorsa dagli antenati della Munro due secoli addietro - dalla Scozia al Nuovo Mondo - si passa a valori cento volte più grandi. Ma i modi di presentazione - il suo inconfondibile stile, ingannevolmente semplice - sono sempre gli stessi. Un realismo 'frammentato', in cui il racconto, piccole unità di poche pagine, terse e lineari, si interrompe di continuo, torna su se stesso, aggiunge un episodio che risale a venti o trent'anni prima. Perché è così che le cose succedono ed è così che, immaginando di attraversare un piccolo villaggio, chi abita lì ci farebbe conoscere la gente: 'Vedi quella donna? Quando era ancora vivo il marito, prima della guerra si dice che ... Ma poi ...'. Pettegolezzi, insomma. Il bisogno di sapere i fatti altrui: per misurarsi sul piano morale o per sollevarsi lo spirito: per imparare la lezione o per uno scopo edificante. Almeno in apparenza. Ma è ciò che i professori, scuotendo la toga, chiamano 'Lust zu Fabulieren'. La necessità dell'arte. Qualcosa che è correlato, in chi ascolta, a un punto della mente i cui pensieri, ricordi e premonizioni convivono. Ed è forse per questo, che i suoi racconti, ellittici come sono, ci sono subito familiari. Al pari dei suoi pari - che, come è stato detto, sono nientemeno che il Flaubert dei Trois contes e Tolstoji, Checov e Katherine Mansfield - Alice Munro, nostra candidata (e non solo nostra) al Nobel, si colloca ormai tra i classici (e si sta concretando il progetto di un Meridiano Mondadori). Né passée né passatista, è per sua stessa definizione, una scritrice 'anacronistica', al di sopra del tempo, che tratta il presente come fosse il passato (al contrario di quanto si è sempre fatto, per tradizione, nel romanzo storico) e scrive di entrambi con il medesimo inchiostro. Il racconto inedito (Something I've been meaning to tell you), di cui pubblichiamo qui a fianco la conclusione, è una tipica storia 'munroviana'. C'è un amore segreto di cui qualcuno sa o sospetta ma non dice. C'è una bottiglia di veleno per topi nella credenza, che desta sospetti. E c'è il desiderio, da parte del personaggio attraverso i cui occhi vediamo le cose, di conferire e confrontarsi con chi le vive accanto, ma che rimarrà tale, un desiderio, appunto (e un rimpianto), anche oltre la fine della storia. Perché i segreti del cuore altrui, in quel mondo circoscritto, rimangono paradossalmente inviolabili. E non si tratta soltanto di convenzioni. In attesa di leggere Le lune di Giove (The moons of Jupiter), annunciato da Einaudi per il prossimo novembre, non ci resta che darle il nostro più caloroso benvenuto." (da Luigi Sampietro, La Signora del racconto, "Il Sole 24 Ore Domenica", 29/06/'08)

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