"Sconfortante certezza di avere letto troppo poco e di non sapere quasi niente: questa è del resto l'unica salvezza e il romanzo dovrà sviluppare in senso fantastico questa direzione."
"Affermava Cervantes che la penna è la lingua dell'anima: pregnante corporeità, mente, immaginazione, progetto; e pochi autori come Pontiggia (1934-2003) - di cui cade il 27 giugno il quinto anniversario della morte - hanno scritto con analoga capacità di cogliere i sentimenti profondi e con tanta autentica passione per la letteratura e la vita. Pontiggia aveva dentro di sé la gioia di scrivere e incontrare gli altri per comunicarvi; e nell'amore della parola - per la sua storia e i mondi aperti dai suoi significati nel tempo - parlare era scoprire 'modalità di essere', perché l'oralità ha 'pienezza effimera ma potente', come diceva a "Dentro la sera" (1994; programma ritrasmesso ora da Radio Tre). Interessato però alle possibilità espressive della parola scritta, Pontiggia le ha ridonato con forza una sua originale intonazione, liberandola dai luoghi comuni che ne fanno un segnale incapace di giungere alla totalità vitale della parola incarnata. Con senso della verità, della lingua e delle tecniche espressive, e quasi a riappropriarsi senza posa di sé, del mondo e della letteratura, si è mosso in autonomia fra generi e registri letterari, come prova la varietà formale dei romanzi e delle pagine critiche: dalla Morte in banca (1959) a Nati due volte (si veda l'edizione di Pontiggia nei Meridiani Mondadori). Pontiggia ha lavorato con visione ampia della letteratura e dedizione smisurata, scrivendo e ricorreggendo tenacemente quanto aveva fatto. Scrittore, critico, traduttore di classici, consulente editoriale, tutto lo stimolava, e lo mostrano gli Appunti sul romanzo, 212 brevi sulla narrativa, la cui copia mi donò e da cui raccogliamo qui a fianco alcuni aforismi e riflessioni inedite. Leggere e studiare, esigere molto dall'arte, ricerca del vero, interrogativo della morte, sono i temi che emergono da questi 'appunti' risalenti agli anni Sessanta: a combattere l'abbandono della cultura in un Paese dove quasi una classe intera di intellettuali lo ha colpevolmente fatto. Vittorini gli aveva insegnato che un testo è migliorabile: qualcosa su cui lavorare con pazienza, consci della ricchezza dei significati, di valenze di senso che possono sfuggire per rivelarsi poi. Pontiggia ha riunito intorno a sé una comunità ideale (i classici) e reale di amici letterati e non, con cui parlare di libri, delle sue scoperte, di linguaggio e verità; ha cercato di 'dare risposta' a chi chiedeva parole/cose necessarie. Ha così avuto molti estimatori estranei alla letteratura, attratti dalla sua simpatia e capacità di coniugare inteligenza e specialismo con senso profondo della vita. La letteratura come meta da raggiungere o qualcosa verso cui trascendere nella consapevolezza del suo valore civile: perciò gli Album sul "Sole" erano così amati. Lettore formidabile e generoso di giovani e aspiranti scrittori, ha iniziato a Milano quei corsi di scrittura che erano prima di tutto avvincenti avventure della parola e della conoscenza. Leggeva le critiche; e i suoi testi ai familiari e agli amici; chiedeva pareri, perché dall'attenzione e dalla discussione nascono idee per creare ancor meglio; da qui l'impegno correttorio - di cui intese darmi copia (l'intero archivio è depositato presso la Beic di Milano) - che nel 1995 conferì nuova veste alla Grande sera (1989, Premio Strega), in cui Pampaloni e altri critici avevano visto 'difetti non marginali'. Anche in questa umiltà, Pontiggia mostrava di saper insegnare in tutti i sensi: era intellettualmente libero, era un vero maestro." (da Daniela Marcheschi, Quegli appunti per migliorarsi, "Il Sole 24 Ore Domenica", 22/06/'08)
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