mercoledì 18 giugno 2008

Mario Rigoni Stern, quella fede incorrotta nella natura

"Sono costernato. Di lui conservo un ricordo unico, nel senso che nascono molto raramente persone piene di virtù come lui. Si dedicò all'impegno civile e fu antesignano della conservazione dell'ambiente" (Andrea Zanzotto)

"E' stato un grande poeta universale; il poeta della fatica nel paesaggio, del rapporto ontologico tra lavoro e natura. Parlando di lui andrebbero citate le Georgiche virgiliane, nel loro aspetto più spoglio di retorica, più pudico e aspro insieme. Opere in onore di questa grande, misera creatura che è l'uomo" (Massimo Cacciari)

"[...] Dall'esperienza russa nasce il suo libro più famoso Il sergente nella neve, che cinquant'anni dopo sarà trasformato in monologo teatrale da Marco Paolini- 'I russi - racconterà all'attore - combattevano per le loro case, i tedeschi per il grande Reich, noi italiani per salvare la vita'. Fa seguito Il bosco degli urogalli e soprattutto La storia di Toenle, dove si narra di un contadino, pastore e contrabbandiere che trova nell'attaccamento alla sua terra l'unico possibile rifugio dagli sconvolgimenti della Grande Guerra che devasta l'Altopiano. Scrive perché la memoria non sia perduta: il Sergente è dedicato a quelli che sono ritornati, Toenle ai racconti dei nonni, L'anno della vittoria alle sofferenze dei profughi, Le stagioni di Giacomo ai partigiani costretti a emigrare dopo avere ridato la libertà al paese. E poi, recentissimo, Stagioni, dedicato alla natura. Un canto alla lettura ciclica del tempo, affine nello schema alle Georgiche di Virgilio. [...] Era grande nella scrittura, ma ancora di più nella narrazione orale. Era figlio di quella cultura e aveva un periodare spiccio e concreto fatto di cose semplici: la pioggia, la neve, la carta di un vecchio libro. Le evocava, ne sentivi la ruvidezza e l'odore. 'La parola detta - spiegò in un incontro pubblico a Torino - viene molto prima della parola scritta. Ha un ritmo che si sposa con l'andatura dell'uomo, che è un animale nomade imprigionato dalla modernità'. Come Claudio Magris, altro grande battitore di boschi e brughiere, anche per lui l'andatura era ritmo, metrica, dunque narrazione. [...] Un giorno lo andai a trovare e mi accompagnò a piedi verso Malga Zevio, nella zona delle trincee raccontate da Emilio Lussu. Camminò sulle rocce dove erano morti migliaia di soldati, ascoltò il silenzio dell'Altopiano, interrotto solo dal ronzio dei mosconi. Poi disse. 'Di questi tempi c'è troppo rumore, stiamo perdendo il senso delle parole, la loro forza terapeutica. Eppure l'uomo ha bisogno delle parole, sennò non le manderebbe a memoria. Primo levi si salvò recitando la Commedia. Serbare il Verbo in petto gli impedì di diventare un numero e il segreto della parola fece la differenza tra i vivi e i morti'. [...]" (da Paolo Rumiz, Mario Rigoni Stern, quella fede incorrotta nella natura, "La Repubblica", 18/06/'08)
Grandi narratori del '900. Mario Rigoni Stern (da ItalicaRai)
Rigoni Stern nel catalogo Einaudi

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