mercoledì 25 giugno 2008

La società cinica di Carlo Carboni


"Che cos'è l'antipolitica? E quale carburante sospinge il suo motore? Due saggi ci aiutano a cercare una risposta. Sono entrambi rapidi, leggeri nella concezione e nel fraseggio (ahimè, una virtù sempre più rara), e vanno in libreria per i tipi del medesimo editore: Laterza. Le parentele fra i due libri, però, s'arrestano su questo davanzale. L'uno - La tenaglia - è opera di Natalino Irti, giurista con gusto e frequentazioni filosofiche (e del resto le pagine in questione scaturiscono da un dialogo con Emanuele Severino). L'altro - La società cinica - s'intinge nella penna di Carlo Carboni, sociologo con forti interessi per l'economia. Diversi gli approcci, diversi quindi gli itinerari concettuali, gli argomenti, gli angoli d'osservazione. La tesi di Irti è presto detta: dopo il crollo del muro di Berlino, crollano altresì le ideologie, e insieme ad esse ogni interpretazione totale del mondo e della vita. Se il XX secolo fu un tempo 'filosofico' come mai prima d'allora, il nostro tempo si consuma viceversa in una quotidianità nevrotica dove non c'è più tradizione né memoria, dove in conclusione manca il telos, lo scopo ultimo dell'agire umano. Da qui il declino del diritto, della sua capacità regolatrice, perché le leggi stesse perdono stabilità e durata. Da qui il tramonto della politica, che divorziando dall'ideologia si trasforma in gestione burocratica, e a propria volta cede al trasformismo, in assenza di riferimenti certi e immarcescibili. La legalità si separa perciò dalla legittimità, nel senso che la conta dei voti rimane l'unico fondamento del potere, ed è esattamente in questo spazio orfano di tensioni ideali che guadagna palmi di terreno il rifiuto della rappresentatività parlamentare - l'antipolitica, per l'appunto. Ma la crisi della politica viene poi colmata dalla religione e dall'economia, le due potenze superstiti in questo scenario desolato. Ecco dunque la 'tenaglia', che almeno in Italia stringe la politica. E la tenaglia disegna un duplice pericolo sul nostro orizzonte collettivo: tecno-crazia e clero-crazia, governo dei tecnici e governo dei chierici. Se Irti solleva lo sguardo verso i cieli della filosofia, Carboni lo immerge nell'inferno dei nostri rapporti quotidiani. Innerva la sua analisi con dati, statistiche, tabelle. Punta l'indice sull'impoverimento della società italiana, questa volta non solo ideale, ma anche e soprattutto materiale, se è vero che un terzo delle famiglie ha più debiti che introiti. Ne disvela lo scarso senso civico, il cattivo rapporto con le regole. Un cinismo di massa, che si riflette e s'amplifica negli atteggiamenti della classe dirigente, cui d'altronde Carboni ha già dedicato studi illuminanti. Da qui l'autoreferenzialità, l'invecchiamento, l'intreccio fra poteri sociali e poteri criminali, infine il trionfo dell'appartenenza sulla competenza, che vizia in primo luogo la politica. Sicché l'oroscopo è opposto rispetto a quello prefigurato da Irti: non il governo dei tecnici, dei supercompetenti, bensì degli incompetenti. Ospitati per di più da un sistema istituzionale arcaico ed ingessato. Ne fanno le spese i giovani, e più in generale i meriti, i talenti dei quali nonostante tutto l'Italia ha le cantine piene. Da qui la frustrazione, lo smarrimento, la crisi di fiducia che degenera in rancore verso la politica, e che in ultimo offre benzina alla macchina dell'antipolitica. Non è importante prendere partito su queste due opposte conclusioni. Serve di più mettere l'accento su ciò che le accomuna: l'antipolitica sfrutta l'horror vacui, alligna su una lacuna, su un vuoto divorante nella società italiana. Prima o poi dovremo farci i conti." (da Michele Ainis, Tecnici chierici e cinici, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/06/'08)

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